Tre Cime, gli alpinisti si rifiutano di pagare 

La vicenda. Lo scalatore spagnolo recuperato assieme alla moglie dà la sua versione «Non eravamo in difficoltà e non abbiamo chiamati i soccorsi». Il ruolo della madre


Simone Facchini


Alta pusteria. «Grazie dell’aiuto, ma non pago». Come in una telenovela, di giorno in giorno si arricchisce di un nuovo colpo di scena la vicenda dei due alpinisti spagnoli recuperati lunedì sulla Ovest delle Tre Cime di Lavaredo a quota 2750 metri dopo aver rifiutato la mano tesa in due occasioni, con l’elicottero in volo. «Non siamo stati noi a chiamare i soccorsi» spiega David Crespo Martinez, il 45enne di Barcellona che aveva affrontato la scalata assieme alla compagna Susana Delhom Viana, 36 anni.

All’indomani del loro recupero è cominciata la stima del conto. Almeno 8-10 mila euro, secondo il primario del Suem 118 del Veneto secondo quanto dichiarato martedì: «Sicuramente sarà a loro carico – aveva detto – perché rientra nei casi in cui agli illesi è chiesto il ritorno delle somme dell’intervento». Un conto che, a seconda delle fonti, potrebbe salire anche a più di 15 mila euro.

Costi.

Per dare misura della contabilità, limitiamo il campo all’intervento finale con cui l’Aiut Alpin, su richiesta della centrale delle emergenze di Bolzano a sua volta chiamata da Belluno, ha preso a bordo i due alpinisti per portali al rifugio Auronzo. L’elicottero, ricostruisce Raffael Kostner, nell’«Aiut» sin dagli albori (è tra i suoi fondatori), è stato in volo 81 minuti, complici condizioni meteo avverse. L’organizzazione di soccorso riceve dalla Provincia 62,46 euro per ogni minuto in aria. Se la persona tratta in salvo non è altoatesina, il conto inviato da Bolzano- in questo caso a Belluno, che a quanto pare si rivalerà sull’alpinista - è di 140 euro al minuto di volo. Nel caso specifico, si tratta di oltre 11 mila euro. Ai quali vanno sommati i costi per gli altri voli ad opera del Suem. Se non venissero saldati, si profilano strascichi giudiziari.

Mamma.

Il ruolo della madre dello spagnolo pare essere centrale nella vicenda. Almeno secondo la versione dell’alpinista, raccontata al Gazzettino. «Mia madre non ci vedeva da due giorni e mezzo: si può comprendere che fosse preoccupata. È andata nel panico e ha chiesto aiuto. Le prime volte che abbiamo visto l’elicottero abbiamo spiegato che non eravamo in difficoltà. L’ultima volta (quella del recupero da parte dell’Aiut Alpin, ndr) ci mancavano ancora parecchie ore per la discesa e abbiamo accettato».

David Crespo Martinez, tassista di Barcellona con la passione per le vette, ha ricostruito la sua versione dei fatti. E rigetta le accuse di alpinisti sprovveduti: «Ho arrampicato ovunque» e cita le esperienze sui 7 mila dell’Himalaya, l’Alpamayo in Perù. Dice pure di avere già affrontato le Tre Cime. Questa volta «eravamo lì da due giorni e mezzo, perché il brutto tempo non ci permetteva di fare altrimenti, ma eravamo tranquillissimi». Afferma che ci possa essere stato qualche problema di comunicazione con la centrale, sostenendo che lì nessuno parlava inglese. Già, ma il conto? Lo l’alpinista tesse le lodi dei soccorritori, ma sul punto è fermo: «Noi non abbiamo chiamato nessuno, non paghiamo. Non c’era nessuna emergenza. Eravamo fermi per il maltempo – ha spiegato ancora lo spagnolo -, avevamo creato un bivacco e stavamo scendendo con i nostri tempi, senza panico. E purtroppo non c’era copertura telefonica per avvertire mia madre»

Conseguenze.

Non è finita qui, insomma. Anche perché alle calcagna della coppia di turisti spagnoli, che dopo la disavventura hanno proseguito la sue vacanze sulle Dolomiti, si è messo pure Luca Zaia: «La sceneggiata è durata anche troppo – ha affermato il governatore del Veneto - verificherò che paghino tutto e, se serve, correrò loro dietro».













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