«Voglio vedere mio figlio anche domenica e festivi» 

L’appello di una mamma che fa la maestra e vive e lavora da anni in Alto Adige «Il bambino non è quasi mai con me durante i periodi delle ferie scolastiche»


di Fausto Da Deppo


VAL PUSTERIA. È un’insegnante e una madre disperata. Vive in Alto Adige da dieci anni, dopo essere arrivata dalla provincia di Roma e in Alto Adige dice di esser rimasta e di voler rimanere “per amore del figlio”. Ma “mio figlio, afferma la donna - io non riesco a vederlo quasi mai durante i periodi annuali delle vacanze scolastiche”.

La donna, residente nella zona di Bressanone e al lavoro in Pusteria, si è separata nel 2011 dal compagno, lui altoatesino della Val Pusteria, “Il primo accordo sancito da un giudice - ricorda la donna - stabiliva che i giorni liberi del bambino, allora all’asilo, venissero spartiti tra me e il padre del piccolo a metà. Inoltre, il mio ex compagno vedeva il figlio tre giorni alla settimana e a weekend alternati”.

Tutto è stato rimesso in discussione in vista dell’ingresso dal bambino nella scuola elementare. “Già in precedenza, il padre aveva insistito per far frequentare al bimbo un asilo tedesco in Pusteria, invece la scelta era caduta alla fine su una scuola brissinese. Con l’iscrizione alla prima elementare, ci siamo ritrovati divisi su opzioni e preferenze. Io - continua la donna - ero convinta dal progetto trilingue di una struttura italiana a Bressanone, il mio ex compagno insisteva per una scuola primaria in Pusteria, una scuola tedesca”.

Quando è arrivata la decisione del giudice, padre e madre hanno provato a imboccare la strada di una sorta di compromesso: “Si è deciso per la frequenza del bambino a Bressanone, anche per garantirgli la continuità di ambiente, compagni, metodi con l’asilo e i giorni infrasettimanali concessi al padre sono stati ridotti a due, anche valutando l’incidenza dei tempi di rientro scolastico pomeridiano. Però, a questo punto, le ferie scolastiche sono state riservate quasi in esclusiva al padre e io, la madre, ho cominciato a vedere mio figlio soltanto un po’ in luglio e agosto e soltanto una settimana nel periodo natalizio. Sono quattro anni che non lo vedo a Pasqua, sono anni che non trascorro con lui un suo compleanno, visto che cade in prossimità di un festivo. E questo mi distrugge”.

Da qui un grido di disperazione: “Perché non posso vedere mio figlio, al di là dei giorni segnati dalla routine del lavoro e della scuola, giorni che spesso passano nella fretta e nel trambusto di dover rispettare orari e fare determinate cose? Perché non posso far vivere a mio figlio la dimensione vera, autentica della mia famiglia d’origine?” Perché, di fatto, i sette giorni concessi a Natale, dice la donna, si trasformano in una sorta di corsa contro il tempo: “Prendo il bambino il 25 dicembre mattina e partiamo per la provincia di Roma, per andare dai miei. Un giorno di viaggio, uno per sistemarsi e presto arriva il 31, quando organizziamo una pseudofesta di capodanno, per essere pronti a ripartire verso l’Alto Adige e per affidare il piccolo al padre il 1° gennaio”. Una corsa che “non fa apprezzare al bambino il clima della mia famiglia e lui ne soffre”.

Se un accordo è stato definito, insomma, la donna chiede “comprensione” all’ex compagno e “valutazione di una serie di cose” al giudice a cui pensa di rivolgersi di nuovo: “Spesso è difficile per un padre separato o divorziato vedere il proprio figlio, stavolta sono invece io a essere in difficoltà e a soffrire per questa situazione”.

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