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Telecamere per i ladri? No, per controllare i figli

La psicologa Cristina De Paoli: «L’educazione è delegata alla tecnologia» L’indagine Astat sui presidi sociali per bambini e ragazzi: 235 gli ingressi in comunità nel 2022


Maddalena Ansaloni


BOLZANO. Secondo l’indagine Astat resa pubblica ieri, dei minori accolti in strutture di tutela per abusi fisici e mentali la maggioranza (pari al 48,5%) sarebbe vittima di un’inadeguata capacità educativa dei genitori. Questa forma di abuso si manifesta soprattutto nella trascuratezza: l’educazione è delegata ai cellulari e ad altri dispositivi elettronici e il prendersi cura addirittura a telecamere utilizzate in casa. «Abbiamo sempre più casi di genitori che ricorrono a questo sistema per controllare bambini, anche molto piccoli, mentre loro sono a lavoro», spiega Cristina De Paoli, psicologa e responsabile dell’area Prevenzione e consulenza del servizio di sostegno e tutela minorile “Il Germoglio”. «La violenza non è solo fisica, a volte non lascia tracce», sottolinea. «E spesso gli adulti sono i primi a non accorgersene. Per un bambino o un adolescente avere i genitori sempre assenti da casa, che non lo seguono nell’alimentazione, lo lasciano vagare fino alla sera tardi, può sviluppare un senso di disagio che porta a problematiche molto serie. Siamo pieni di bambini che ci raccontano di genitori troppo concentrati su loro stessi», prosegue la psicologa. Tuttavia l’assenza degli adulti il più delle volte è dovuta a una difficoltà anche economica di prendersi cura dei propri figli e in molti casi sono le famiglie stesse a chiedere aiuto. «Vivere con un solo stipendio è insostenibile, quindi i genitori sono costretti a lavorare entrambi. Non è raro che loro stesi si rivolgano a noi, o agli altri centri di tutela, dicendo che non riescono a gestire i loro bambini», sottolinea De Paoli.

I dati sugli abusi
Ieri, dal convengo “Pro child” che si è tenuto alla Claudiana è emerso che sono 1.251 i minori maltrattati in Alto Adige nel 2022. Con un aumento dell’15% rispetto agli ultimi cinque anni. Quattrocento i casi in cui sono intervenuti i servizi sociali e 235 i minori assistiti nei 42 presidi sociali sul territorio. Numeri che però non bastano a fotografare l’entità reale del problema: «Purtroppo i casi sommersi sono ancora molti», sottolinea Cristina De Paoli. «Non c’è un osservatorio in Provincia che raccolga i dati, che si basano quindi solo su denunce e segnalazioni. Si stima che per ogni denuncia ci siano altri dieci casi che non emergono». Il 7,7% dei minori entrano in struttura per abusi e maltrattamenti, mentre il 31,5 percento non presenta problematiche specifiche, ma si trova ad aver bisogno di aiuto per un’assenza della famiglia. Secondo lo studio la maggior parte dei casi riguarda maschi (il 53%) di cittadinanza italiana (il 60 percento). Il 26,8% presenta disturbi mentali dell’età evolutiva e il 5,5% ha una disabilità. Nella maggioranza dei casi (52,3%) l’affidamento del minore ad una struttura socio-pedagogica è stato disposto dal tribunale per i minorenni. «In queste situazioni si è costretti a intervenire a disagio già manifestato, mentre il nostro obiettivo sarebbe creare un sistema di rete con le altre realtà per intercettare il minore che sta subendo qualcosa. Per questo cerchiamo di sensibilizzare le scuole, e gli educatori a riconoscere ogni tipo di segnale e a rivolgersi immediatamente ai centri di tutela».

Un problema di sistema
Secondo l’indagine, la mancata accettazione dei bambini e dei ragazzi nelle diverse strutture è dovuta principalmente all’insufficienza di posti disponibili: «Abbiamo liste d’ attesa lunghissime», prosegue Cristina De Paoli. «Le comunità sono piene e c’è una richiesta sempre maggiore. È proprio il sistema che non sta funzionando: abbiamo pochi operatori, spesso non adeguatamente formati. Si delega tutto alla scuola ma gli insegnanti non possono gestire tutto. Si dà la colpa ai genitori, oppure ai ragazzi stessi quando in realtà manca proprio un adeguato sistema di tutela che sappia offrire un servizio pari alla quantità di richieste».













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