l'anniversario

Cent’anni fa le prime nozze civili a Merano 

Cambiamento epocale. A inizio 1924 due coppie si sposarono  in municipio anziché in chiesa: fino all’anno precedente nascite, battesimi, decessi e matrimoni venivano registrati esclusivamente nei registri ecclesiastici dei rispettivi uffici parrocchiali


Jimmy Milanese


MERANO. Cento anni fa in città veniva celebrato il primo matrimonio di rito civile. Infatti, anche nelle cosiddette “Nuove province” come la nostra (visto il passaggio di Bolzano dall'Austria all'Italia), a partire da gennaio del 1924 il regime fascista aveva introdotto il registro civile che permetteva appunto la possibilità di celebrare le nozze in Municipio in luogo del più classico rito ecclesiastico.

A riportare questa possibilità all'epoca fu la “Meraner Zeitung” sulle cui colonne veniva spiegato ai cittadini meranesi come avrebbero dovuto procedere per celebrare un matrimonio civile. Infatti, dal primo gennaio 1924 fu introdotto anche nella attuale Provincia di Bolzano il matrimonio civile obbligatorio e con esso il registro di stato civile. Prima di questa data, fino al 31 dicembre 1923, nascite, battesimi, decessi e matrimoni venivano registrati esclusivamente nei registri ecclesiastici dei rispettivi uffici parrocchiali. Rito religioso che comunque rimaneva in vigore ma i cui atti dal 1924 dovevano essere successivamente registrati presso il Municipio di residenza della coppia.

Due coppie.

Così raccontavano le cronache dell'epoca: «Lo scorso sabato mattina 19 gennaio, le prime due coppie di sposi di Merano hanno celebrato il matrimonio di Stato nella sala matrimoni appositamente attrezzata del Municipio. Si tratta dell'avvocato Arturo Sadun del Banco di Roma, filiale di Merano, e della signorina Mathilde Lavvezzoli, nonché di Giuseppe Tammanini di Ravina e della signorina Berta Rath di Bolzano», scriveva la Meraner Zeitung. E a celebrare le nozze, il podestà Maximilian Markart che dal 1922 al 1935 governò la città.

Lui israelita, lei cattolica, il matrimonio tra Sadun e Lavvezzoli segna l'inizio del principio secondo cui lo Stato non avrebbe ammesso barriere di separazione per confessione di fede, almeno fino alla emanazione delle “Leggi Razziali” il 5 settembre 1938 che produssero un impatto devastante sulla comunità ebraica meranese, la più numerosa in regione. Molte famiglie in città furono costrette a scappare già nell’autunno del 1938 perché considerate “straniere” e quindi senza possibilità sia di accedere ad un lavoro sia di frequentare una scuola e i matrimoni misti vennero annullati.

Vasta eco.

Ad ogni modo, questa prima cerimonia civile ebbe una eco non indifferente in città, proprio per via del suo carattere pubblico.

Una novità assoluta: rispetto alla privacy del rito religioso, la promessa solenne in municipio si teneva davanti a chiunque volesse partecipare, e magari sollevare qualche commento.

In certi casi accadde, quasi subito. Verso la fine di gennaio sempre del 1924 a pochi secondi dal “sì” fatidico, un uomo irruppe in Municipio in quella che oggi è la sala della giunta esclamando: «Questa donna non può maritare questo infame!». A quel punto, si scatenò un tafferuglio e le nozze rischiarono di saltare, non fossero intervenute le guardie.

L'uomo era nientemeno che l'ex amante della donna il quale sosteneva di avere le prove di un precedente matrimonio che avrebbe visto protagonista il promesso sposo. Casi tutt'altro che rari, data la mancanza di digitalizzazione dei certificati di matrimonio.

La cerimonia.

Non come quelle attuali, le cerimonie civili all'epoca erano invece piuttosto estese. Si partiva con il saluto dei due sposi da parte di chi era stato incaricato a celebrare la cerimonia, quindi, seguiva l'annotazione dettagliata nei registri in duplice copia firmata dai testimoni sotto giuramento solenne e che così li avrebbe impegnati per tutta la vita, in caso di cattiva condotta da parte degli sposi. A questo punto, la frase di rito: «Sei disposto/a a prendere questa donna ovvero quest'uomo come coniuge». Se tutti e due gli sposi rispondevano con un “sì”, la coppia si stringeva la mano (senza baciarsi) davanti ai pubblici ufficiali i quali a quel punto dichiaravano suggellato il matrimonio in nome del diritto civile. Correlato non proprio edificante di questo rito introdotto nella nostra città a partire appunto dal 1924, il fatto che la registrazione delle coppie prevedeva anche la dichiarazione della religione di appartenenza. In questo modo, anno dopo anno il regime fascista avrebbe censito così la popolazione ebraica rendendo assai facile nel 1938 l’identificazione degli ebrei fino alle successive deportazione nei campi di concentramento. Il tributo alla follia nazi-fascista pagato dalla nostra città parla di circa quaranta meranesi deceduti nei campi di concentramento.

Separazione.

Le procedure di matrimonio si concludevano con le relative firme dei coniugi e il pagamento di 12, ovvero 24 lire per la registrazione. Secondo la legge italiana dell'epoca, il matrimonio non poteva essere sciolto, anche se (al pari della vicina Austria), in caso le cose non fossero andate bene tra i due, si riconosceva la separazione della tavola e del letto, ovvero la possibilità di vivere sotto lo stesso tetto senza alcun obbligo. Solo nei casi in cui si scopriva un impedimento al matrimonio già celebrato, il legame poteva essere sciolto. Come forse il caso di quella coppia il cui futuro marito venne accusato di essere già stato sposato, ma in base al rito canonico, altrove e chissà dove!

 













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