«Sono malato di sclerosi ma non rinuncio certo a vivere» 

L’appello. Ugo Beltram vive alla casa di degenza Sant’Anna. «Mi mettono a letto alle 16.30 ma io ho bisogno di uscire»  La cannabis terapeutica lo aiuta a stare meglio. All’origine della scelta ci sarebbe una carenza di personale nella struttura


Sara Martinello


Lana. «Meglio vivere che sopravvivere». Una frase laconica getta una luce nella vita di Ugo Beltram, che a soli 56 anni è costretto in una camera della casa di degenza Sant’Anna, di Lana. Dove la mancanza di personale per via delle ferie gli impone di essere relegato nel proprio letto fin dalle 16.30, ogni giorno, senza il conforto di una passeggiata serale. Ma Beltram non si dà per vinto, e insieme all’amico Stefano Balbo lancia un appello a chiunque voglia aiutarlo a uscire dalla casa di cura anche solo per poche ore.

Una lunga notte.

Dei suoi 56 anni di vita, Ugo Beltram ne ha passati 22 alla casa di degenza Sant’Anna. È stata la sclerosi multipla a segnare la sua sorte. Ma nella casa di cura è pressoché l’unico ospite lucido, perfettamente in grado di intendere e di volere. I suoi compagni hanno generalmente superato le ottanta primavere: un traguardo ancora lontano per il 56enne, che trascorre le giornate con la consapevolezza che alle 16.30, quando fuori il cielo è ancora azzurro, qualcuno lo metterà a letto. Perché da due settimane sono iniziati i turni di ferie del personale della struttura. E il ridotto numero degli operatori impedisce che ciascun ospite sia seguito per un tempo più lungo. Così, se prima la “notte” cominciava alle 17.30, ora Ugo Beltram deve coricarsi un’ora prima.

La vita “dentro”.

A raccontare la situazione di Beltram è un suo amico, Stefano Balbo. «Gli altri ospiti soffrono di patologie neurodegenerative in stato avanzato», spiega. Si parla del morbo di Parkinson e di malattie simili, di quelle che ostacolano i rapporti umani tra ospiti. «Ugo vive in una stanza di dimensioni esigue ed è impossibile che ci entrino più di due persone alla volta. Anch’io sono invalido. E vedere coi miei occhi che cosa potrebbe succedere un giorno, immaginare come mi sentirei, apre un varco allo sconforto». C’è una speranza, nel racconto di Balbo. Ogni giorno, una giovane ospite riesce a passare del tempo all’aria aperta, grazie a un amico che la riporta alla Sant’Anna verso le 20. Di qui l’appello di Balbo: «Servirebbe qualcuno che desse una mano al mio amico. Non lo si può portare fuori sotto il sole cocente delle 14. E poi con le iniziative meranesi, per esempio i martedì lunghi, sarebbe un peccato condannarlo a privarsi di un’occasione di svago. Speriamo che qualcuno si faccia avanti». Al telefono, dalla casa di degenza delle suore di carità dell’ordine teutonico fanno sapere che informazioni quali il numero degli ospiti e quello degli operatori possono essere ottenute solo presentandosi di persona.

Uno spirito combattivo.

Ugo Beltram non demorde. «Da anni – spiega – combatto con l’idea diffusa che a parlare possa essere solo chi comanda. Ho studiato per diventare direttore di comunità e vorrei fare qualcosa per le persone che soffrono di una malattia. Perché gli ospiti delle case di cura sono sempre senza voce, sempre vessati da questo silenzio assordante. Con l’esterno parla solo chi comanda, chi ha studiato economia... Che cos’è importante a questo mondo, i soldi? Com’è che le persone non vengono ascoltate e valutate per quello che sono?». Per migliorare le proprie condizioni, ora giunte alla stabilità, Beltram fa uso di cannabis terapeutica. «Mi aiuta. Se vuoi stare bene ma gli altri non sono d’accordo, allora devi stare male. Ma io dico che è meglio vivere che sopravvivere».













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