L'INTERVISTA umberto montefiori 

«Vi racconto i miei Mille da Cavour alla massoneria» 

L’Unità d’Italia. «Non fu Garibaldi l’ideatore della spedizione verso i territori borbonici» Al circolo unificato la presentazione con parti interpretate dal Piccolo Teatro di Merano



Merano. L’ha presentato perfino al Salone del libro alla presenza dello storico Aldo Mola, inserito nel fitto programma che nel 2014 annoverava incontri con Michela Marzano, Catherine Dunne, Roberto Saviano. Ora Umberto Montefiori porta anche a Merano il suo “La spedizione dei Mille”, pubblicato dalle Edizioni Giuseppe Laterza dopo un attento lavoro di ricerca storiografica.

Martedì 5 novembre, infatti, alle 17.30 Montefiori sarà al Circolo unificato dell’esercito, in via Mainardo, per raccontare al pubblico la “sua” versione di quello che accadde nel 1860. Con molte curiosità.

Militare, ex presidente del consiglio provinciale, autore per passione. Ma sui Mille di Garibaldi sono state scritte milioni di pagine: qual è la novità di questo approfondimento?

Nelle sue memorie, Giuseppe Garibaldi scrive che fino al mese prima della partenza lui quella spedizione non la voleva fare. E infatti non fu lui l’ideatore dell’impresa.

Quali fonti per questa tesi?

La bibliografia conta venti fonti, tra opere storiografiche e documenti. Soprattutto “Arrigo. Da Quarto al Volturno”, di Cesare Abba, e “Da Bocca di Falco a Gaeta”, una narrazione giornaliera fatta dal cappellano militare dell’esercito borbonico Giuseppe Buttà. Poi la ricerca storica sulla massoneria, espressione della grande borghesia finanziaria da non confondere con logge segrete come la P2.

Insomma, se non Garibaldi, chi fu la mente?

Cavour. Bisogna sapere che già nel 1856 il conte, allora presidente del Consiglio dei ministri, ispirò la nascita della Società nazionale italiana, fondata insieme al siciliano Giuseppe La Farina. Suo primo presidente fu un Garibaldi che più tardi fu restio ad assumere il comando e che lo fece soltanto quando lo convinsero Bixio, Medici, Crispii. Scopo era preparare il terreno alla conquista della penisola contattando notabili e alti gradi dell’esercito e della marina degli altri Stati italiani.

Per farlo però serviva denaro.

E qui entra in gioco la massoneria. Italiana, inglese e statunitense. Nazionalista. Anche se lo negò sempre, Cavour ci era addentro, e fu così che i Mille ebbero la tecnologia necessaria. Il massone americano Samuel Colt, amicissimo di Cavour, mandò loro la bellezza di cento revolver Colt e di duecento carabine a ripetizione: nel tempo in cui un soldato borbonico sparava un colpo, una carabina ne esplodeva dieci. La massoneria inglese invece mandò 500 fucili Enfield, armi modernissime per quei tempi.

E il re, nel frattempo?

Il re sapeva, anche se fu tenuto fuori. Tra il 1857 e il 1858 Cavour e La Farina studiarono una pre-spedizione nell’Italia del nord, una sorta di prova generale per l’impresa del ‘60, per tranquillizzare l’opinione pubblica europea. Sarebbero andati da Lerici a Parma, ma il progetto fu interrotto dalla seconda guerra d’indipendenza, con l’acquisizione di Lombardia e ducati vari, compreso quello di Parma e Piacenza.

Infine, lo sbarco in Sicilia.

Anche lì fu Cavour a imporsi. La massoneria inglese assicurò a Garibaldi un sostegno finanziario notevolissimo e gli indicò quale luogo di sbarco il porto di Marsala, quasi una base navale della Marina da guerra inglese e porto di imbarco dello zolfo, estratto dalle numerose zolfatare locali di proprietà di industriali inglesi.

La conferenza, organizzata in collaborazione col Piccolo Teatro, sarà introdotta da Maurizio Pulimeno e vedrà la partecipazione degli attori Sofia Pulimeno e Romano Cavini. Luca Baiona racconterà dettagli inediti sulla cavalla bianca Marsala, regalata a Garibaldi l’11 maggio 1860, giorno dello sbarco, dal barone siciliano Angileri. S.M.













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