"Cuore di ghiaia", Gurnah svela i sentimenti

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Marco Pontoni


C’è chi non sopporta il Nobel alla letteratura perché premia spesso autori del tutto sconosciuti, quantomeno al pubblico italiano. Io lo apprezzo proprio per questo. Come avremmo fatto, altrimenti, a conoscere Herta Müller, al di là del notevole lavoro di talent scouting svolto dal trentino Keller (unico editore ad avere tradotto l’autrice tedesco-rumena prima del conferimento del premio, nel 2009?). Come avremmo fatto a conoscere Jon Fosse, il vincitore di quest’anno? O in quanti leggerebbero oggi Abdulrazak Gurnah, lo scrittore in lingua inglese, nato a Zanzibar nel 1948, che il Nobel lo ha vinto nel 2021?

I romanzi di Gurnah, che stiamo imparando a conoscere grazie a La nave di Teseo, che ne traduce l’opera, sono affascinanti. I temi che gli sono cari ritornano libro dopo libro. La critica del colonialismo, innanzitutto, inserita fra le motivazioni del premio conferito all'autore dall’Accademia di Svezia, e nel caso di Zanzibar in particolare, del colonialismo britannico, pur avendo vissuto Gurnah gran parte della sua vita adulta in Inghilterra. Ma anche i traumi generati dalla decolonizzazione, che nell’isola dell’Africa orientale, oggi parte della Tanzania e paradiso turistico di prim’ordine (un tempo un sultanato e un centro della tratta degli schiavi verso l’oceano indiano) ha coinciso con una rivoluzione socialista, che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue. E poi, necessariamente, il tema dello sradicamento dalla propria terra di origine e dell’emigrazione in Europa, in un’Inghilterra che offre nuove opportunità a chi riesce ad entravi ma che non fa sconti a nessuno, e il cui abbraccio è comunque spesso freddo, anzi, gelido.

Il tutto è visto di solito attraverso la prospettiva di una storia familiare, com’è comune in tanta letteratura non-occidentale, che riflette un mondo nel quale raramente l’individuo è una monade isolata. Un mondo nel quale le reti familiari, le relazioni di parentela, hanno un ruolo determinante nel plasmare i destini delle persone. Un mondo fatto di vicoli ombrosi, mercati, scuole coraniche, case affollate, generazioni diverse sotto lo stesso tetto, descritto con il calore della nostalgia ma senza tacerne le ambiguità, i doppi giochi, i tradimenti e le bugie.

Accade anche in questo “Cuore di ghiaia” (tradotto da Alberto Cristofori), pubblicato originariamente nel 2017 e in Italia nel giugno di quest’anno, romanzo che mette al centro le vicende del piccolo Salim e della sua famiglia, lacerata dall’abbandono del padre, che si condanna, almeno apparentemente, ad una vita apatica e senza affetti, lontano dalla moglie (che pure continua a sfamarlo) e dai figli. Il tutto mentre i cambiamenti sociali e politici si susseguono, passando rapidamente dai regolamenti di conti della fase rivoluzionaria all’arrivo del turismo, che apre anche in Africa nuove, inedite prospettive. Il destino di Salim però è quello di seguire nel Regno Unito lo zio Amir, un uomo vincente, che ha coronato la sua ambizione di dare la scalata alla carriera diplomatica.

Approdato a Londra, Salim sceglie nondimeno una strada diversa, che lo porta a conoscere i volti più nascosti dell’emigrazione dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo (come lo si chiamava allora) e dell’integrazione nella società inglese. C’è però ancora un mistero da svelare, e qui come in “Sulla riva del mare”, altro capolavoro di Gurnah, le risposte arriveranno solo alla fine.

 













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