Da Bolzano a Teheran, nel segno della lirica

Shabani ha studiato al Conservatorio e ora, con l’amico-direttore Enrico Gerola, è volato in Iran per due grandi concerti


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Un giorno faremo qualcosa assieme in Iran: sarà l'occasione per farti conoscere il mio Paese». Hamidreza Shabani, 37 anni iraniano, ed Enrico Gerola, 32 anni originario di Mattarello ma bolzanino d'adozione, si sono conosciuti, alcuni anni fa al Conservatorio Monteverdi, e ne è nata subito un'amicizia.

In comune la passione per la musica che Enrico ha ereditato dal padre baritono; Hamid da una zia.

A metà ottobre quella vecchia promessa si è avverata: Gerola è volato a Teheran e assieme hanno fatto due concerti nel teatro comunale, portando in scena anche Homay Parvaz, star della musica popolare iraniana che, per ragioni politiche, da otto anni non si esibiva più nel suo Paese. Per continuare a cantare era stato costretto ad emigrare all’estero.

«Sono rimasto lì un mese, ospite a casa sua – racconta entusiasta Gerola, responsabile musicale dell'operetta che va in scena dal 20 al 22 e il 25 novembre alla Walther Haus e a Bressanone a dicembre – un'esperienza umana e professionale fantastica. Abbiamo fatto due concerti di musica classica persiana scritta da Homay e riarrangiata per orchestra sinfonica: sul palco settanta elementi e cinquanta archi; accanto agli strumenti della tradizione iraniana quelli classici. Hamid ha cantato un'aria dal Don Carlo di Verdi “Ella giammai m'amò”. Poi in chiusura mi sono messo al piano e loro hanno intonato “O sole mio”. Un successone e pubblico in delirio per il ritorno della star Homay e per Hamid».

La voglia di musica, di arte, di spettacolo, tutti sinonimi di libertà, è enorme in quel Paese, dopo che il regime di Khomeini aveva vietato sia l'opera che il balletto.

Le cose hanno cominciato a cambiare un anno fa e Hamid ne ha subito approfittato per portare il repertorio del “Flauto magico”.

Per lui il ritorno nel suo Paese ha oggi il sapore di una vittoria. «Ho cominciato a cantare – racconta – da piccolo. Mia zia Azam Kianmehr, a sua volta cantante e pittrice, mi diceva che dovevo studiare e diventare un cantante lirico. Ma allora non sapevo cosa fosse l'opera e neppure mi interessava. La passione vera è arrivata dopo i 20 anni».

A Teheran aveva un lavoro in banca, una bella casa, una bella famiglia, amici. Ma c'era sempre quel chiodo fisso in testa: fare del canto una professione, calcare i teatri di mezzo mondo, come Luciano Pavarotti, il suo mito.

Un sogno, ma a volte i sogni si realizzano.

Nel 2009 il grande passo: la decisione di lasciare tutto e prendere un biglietto di sola andata per l'Italia, patria dell'opera.

«A Bolzano ci sono arrivato per caso. Avevo cantato al consolato italiano nel mio Paese e il console De Martino mi suggerì il capoluogo altoatesino: mi è piaciuto fin dal primo momento in cui sono arrivato all’aeroporto. Mi sono sentito subito a casa».

Ha trovato una stanza al Rainerum e ha cominciato a frequentare il Conservatorio. Di giorno in mezzo agli spartiti, la sera nella sala Bingo di via Resia per mantenersi.

«Ho realizzato il mio sogno - dice soddisfatto - tre mesi fa ho finito gli studi al Monteverdi e il canto è diventato oltre che il mio lavoro, la mia vita».

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