«Dietro la produzione di latte c’è un sistema perverso» 

Oggi a Torino la prima italiana del suo documentario “The milk System” 


di Daniela Mimmi


In Danimarca come in Germania passando per l’Italia, dalle piccole aziende biologiche alle mastodontiche fabbriche di latte in Cina, scienziati, politici UE, lobbisti così come allevatori del Senegal: tutti fanno parte del sistema latte. Il latte non è più un prodotto che un tempo romanticamente consideravamo naturale ed innocente. Con il tempo si è trasformato in un prodotto industriale commercializzato in tutto il mondo, capace di fatturare cifre da capogiro per i top player del settore. Senza contare che il primo a soffrire, in questa iper-produzione sconsiderata e selvaggia, è l’ambiente: ogni litro di latte prodotto equivale a ben tre litri di liquame. E cosa dire delle mucche, allevate con la crescita accelerata e con un ciclo di vita sempre più breve? Il latte, poi, è così sano come vuole farci credere l’industria? Questi e mille altri interrogativi se li pone il regista bolzanino Andreas Pichler, nel suo “The milk System”, il sistema del latte, che sarà presentato in prima italiana, e nelle versione in italiano, a Torino, oggi 2 giugno, nell’ambito del Festival CinemAmbiente. In autunno uscirà nelle sale italiane distribuito da MovieDay, con un sistema misto di sale e online. Il film, già presentato all’estero, ha ricevuto recensioni lusinghiere. “Le mucche sono delle potentissime piante viventi e il film spiega come funziona il sistema. Un film esemplare sul sistema del latte” ha scritto il Frankfurter Allgemeine Zeitung. E ancora: “Un documentario impressionante sulle macchinazioni dell’industria lattiera e le sue conseguenze sugli animali, l’ambiente e gli uomini” (Utopia), “Strutturato con molte informazioni, ben costruito, raccontato con garbo, e ancora più terrificante proprio per questo” (Süddeutsche Zeitung), “Guardate questo film: non vi disillude, ma vi apre gli occhi” (NTV de). Andreas Pichler, titolare della casa di produzioni cinematografiche Miramonte, insieme a Valerio Moser, ha già girato una quindicina di film, molti dei quali coprodotti o vengono acquistati dalle principali emittenti europee (ZDF, Arte, ORF, RAI, YLE, Ikon, 3Sat) e proiettati a numerosi festival internazionali. Nel 2004 ha vinto, come autore e regista di “Call me Babylon”, il prestigioso premio tedesco Adolf Grimme . Il suo inquietante “Teorema Venezia” è stato presentato ai festival di Lipsia, Berlino, Karlovy Vary, al Festival dei Popoli di Firenze e Cinemambiente di Torino, distribuito con successo in Germania, Austria e Canada e Italia. Oggi Pichler lavora come autore e regista in Germania, Italia, Austria e Svizzera. l’abbiamo intervistato.

Perchè, questa volta, il bersaglio del suo cinema di denuncia è il latte?

«Perchè ultimamente mi interesso all’alimentazione, e anche all’agricoltura. In casa mia non usiamo più il latte, da quando ho girato questo documentario. All’apparenza è un cibo sano, anche perchè è bianco. Invece non lo è per niente, non ne abbiamo bisogno, ed è il simbolo di un sistema perverso. La produzione di latte, fatta in modo sconsiderato ed eccessivo, è nociva per tutti. Innanzitutto per le mucche e per l’ambiente, e poi anche per noi. Il piccolo allevatore, ad esempio, è destinato a sparire. E poi ci sono degli aspetti raccapriccianti: la produzione di latte in Senegal è crollata perchè conviene comprare quello in polvere che viene dall’ Europa».

Allevare mucche è anche altamente inquinante.

«Per produrre una tale quantità di latte, le mucche producono una quantità enorme di letame, che finisce nelle falde acquifere e inquina l’acqua che beviamo. Succede in Germania, in Francia, nella Pianura Padana».

E le mucche in tutto ciò?

«Le mucche provengono da selezioni genetiche e per produrre enormi quantitativi di latte devono ricevere cibi e trattamenti speciali. Un allevatore le ha paragonate a una Ferrari: non vivrebbero due giorni in un prato. Non hanno mai mangiato l’erba».

Qual è la cosa più sconvolgente che ha visto, girando questo film?

«Un allevamento in Cina con 10.000 capi stipati dentro a 4 o 5 capannoni. Quelle mucche non sono mai uscite di lì e non ne usciranno mai. Non hanno mai visto il sole, mai calpestato un prato, mai mangiato un filo d’erba. E le mucche a una fiera a Cremona, con delle mammelle enormi perchè per un giorno non sono state munte. E mi ha sconvolto anche vedere come sono cambiati gli allevatori. Siccome c’è sovrapproduzione di latte, i prezzi sono bassi e loro sono tutti contro tutti. Non c’è più la solidarietà che c’era una volta tra i contadini».

Pensa che guardare il suo documentario faccia riflettere?

«Io ci spero. I documentari sono utili perchè fanno riflette su cose a cui non si pensa».

Speranze?

«Alla fine del film c’è l’intervista a un contadino della Val Venosta che alleva una quindicina di mucche, libere nel prato, e non vuole cambiare sistema. Ecco, lui mi dà speranza».

E gli strali di Andreas Pichler, dopo il sistema latte, cosa colpiranno?

«L’alcool. Si sottovaluta sempre che l’alcol è nè più nè meno che una droga. Con la grande industria dietro».













Altre notizie

Attualità