Eccomi, tormento di una famiglia ebraica americana



Uscito nell’agosto del 2016, “Eccomi” (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini), quarto romanzo di Jonathan Safran Foer, mi è venuto in mente in questo periodo di conflitti sanguinosi in Medio Oriente per il suo affrontare, sulla scia di altri autori americani contemporanei, da Malamud a Saul Bellow, da Delmore Schwartz a Philip Roth, temi propri dell’ebraismo “della diaspora”, proiettati su vicende e scenari più generali, nei quali in molti possono riconoscerci. Questo romanzo si occupa innanzitutto di vita familiare. È insomma il classico romanzo sulla crisi di un matrimonio, che nel corso di quattro, convulse settimane, investe le esistenze di Jacob, Julia e dei loro tre brillanti figli, famiglia ebreo-americana di estrazione medioborghese. Tema non nuovo, quindi, si potrebbe osservare. Ma il libro è profondo, incalzante, e anche quando ritornano scene già viste in molta altra narrativa del genere – la cerimonia del Bar Mitzvah, ad esempio – la maestria della scrittura di Foer le rende appassionanti.

La crisi di coppia viene innescata da una chat telefonica scabrosa che Jacob intrattiene con una collega, per noia o bisogno di evasione. Una volta scoperta, ciascuno dei membri della famiglia reagisce a modo suo, compresi i figli Sam, Max e Benji, i cui dialoghi costituiscono un esempio di come il parlato in un libro possa essere al tempo stesso non-esattamente-realistico (in questo caso troppo intelligente, troppo acuto per dei ragazzi) e tuttavia credibile (scatta nel lettore la sospensione dell’incredulità) ma soprattutto gustoso, con i suoi guizzi, la sua ironia, le sue schermaglie.

La svolta nella storia è data dall’arrivo da Israele di alcuni parenti, che travolgono i protagonisti con la loro vitalità. Subito dopo il loro approdo a Washington, Israele viene colpito da un terremoto di portata devastante, che fa temere per la sopravvivenza stessa del paese. Cosa fare? Per i parenti in visita, l’imperativo è tornare a casa. Ma per Jacob andare a prestare il suo aiuto come volontario, in una situazione resa ancora più difficile dalla possibilità che gli stati arabi approfittino della situazione per muovere guerra agli odiati sionisti, può essere anche un modo per riscattarsi agli occhi della moglie, o almeno di se stesso. Il contrasto fra le due tipologie personali e familiari – da un lato gli americani, divisi, problematici, alle prese con i travagli della famiglia contemporanea, dall’altro gli israeliani, con la loro energia, il loro humor a tratti feroce - rappresenta la parte più interessante del libro. Cosa significa essere ebrei, oggi, in Israele e a migliaia di chilometri di distanza? Come si conciliano tragedie collettive e microtragedie private? Cos’è che la routine della vita borghese ci hanno fatto? E poi: come si risponde alla chiamata, di dio o della storia? “Eccomi”, è stata la risposta di Abramo, quando il Signore gli ha chiesto di sacrificare un figlio (“Hineni, eccomi, sono pronto, Signore”, ha cantato Leonard Cohen in quella canzone-testamento che è “You Want it Darker”). Ma oggigiorno la chiamata, qualunque essa sia, può provocare conseguenze grottesche. O patetiche.

“Eccomi” è un romanzo lungo ma non particolarmente difficile. È un romanzo che impegna, questo sì, per i contenuti che tocca. Ma non vogliamo mica leggere per passare il tempo, no?

 













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