Essere donna in Italia Un’immagine sospesa tra tradizione e novità 

“Santa o sgualdrina”. Il titolo scelto da Barbara Bachmann e Franziska Gilli per il loro libro Un viaggio nel Paese in cui la madre è icona, ma pure dove avviene un femminicidio ogni 3 giorni nel quale, come raccontano le autrici altoatesine, i ruoli di genere appaiono più radicati che mai


Paolo Campostrini


Bolzano. Giuseppe Prezzolini, non uno venuto su con la piena, scrive: «Le donne commettono dei particolari reati per la loro fragilità. Ma tenendo conto di questa fragilità femminile, i giudici maschi sono di solito tolleranti con loro. E dunque stiano buone». Lui è un giornalista e uno scrittore. Grande firma. Passa qualche anno e cambia tutto. Ma non tutto. In piena Milano da bere, Silvio Berlusconi azzarda: «Il Milan è un affare di cuore, costoso. Ma anche le belle donne costano». Arriva la crisi. Niente. Nel secondo ventennio del Duemila, dove forse ci sarebbero questioni più pressanti, liberoquotidiano.it non manca di osservare: «Carola Rackete senza reggiseno in Procura: sfrontatezza senza limiti, il dettaglio sfuggito a molti».

Il contrasto

Insomma, non ce la facciamo. Dentro una cultura diffusa in cui gira ancora “chi dice donna dice danno” proviamo a star fuori dagli stereotipi con la testa, ma appena la testa si gira per un attimo dall’altra parte l’Italia ci ricade. Gran bel Paese, ma ancora non ha scelto da che parte stare. E così, quando si tratta di universo femminile, la cultura di fondo tiene sempre in bilico tanti italiani tra la Vergine Maria e Maria Maddalena. Tra il dovere e il piacere.

Lo scrivono Barbara Bachmann, nata a Brunico, e Franziska Gilli, bolzanina. La prima è giornalista, la seconda una fotografa. Sono sudtirolesi/altoatesine. Doppie dunque per la loro parte. Perché guardano all’Italia da dentro e da fuori, essendo italiane e no. O sì. Avvertono in profondità, in loro, questa profonda tradizione cattolica, anche sudtirolese, che tiene insieme quelle visioni di donne contrapposte e dunque mai vere. O Vergini o Maddalene. E appunto si intitola “Santa o sgualdrina”, sottotitolo “essere donna in Italia” il loro libro appena uscito (Raetia, 221 pagine, 24,90 euro). Che è un lungo viaggio attraverso un Paese magnifico e diverso, chilometro dopo chilometro, che tiene strette dentro di sé modernità e tradizione, femminismo e patriarchi, pontefici e suore. E che, in certi posti e in tante menti è ancora quello di Papa Pio XI che nell’enciclica “Casti connubii” scriveva «Se l’uomo è infatti il capo, la donna è il cuore; e come l’uno tiene il primato del governo, così l’altra può e deve attribuirsi come suo proprio il primato dell’amore».

La domanda

Quelle precedenti e questa sono citazioni dal libro. Che le pone in sequenza, da Mussolini a Grillo, da Salvini a Patty Pravo. Le quali citazioni, se non fossero in alcuni momenti ancora in grado di essere comprese e vagamente tollerate, sono il filo conduttore di una realtà incontrovertibile. Che è questa: nel Paese dei grandi seduttori e degli impagabili gentiluomini e dove, soprattutto, la madre è un’icona, viene uccisa in media una donna ogni tre giorni, nella maggior parte dei casi dal proprio compagno. Dunque la domanda è: come mai in luoghi, anche mentali, dove donna richiama subito la mamma, la vergine, la sposa accade questo? Forse perché, appunto, se le donne sono costrette ad essere “o sante o sgualdrine” - come recita il titolo del libro - è complicato porsi nella terra di mezzo e guardare all’altra metà del cielo come un universo fluido e ricco di straordinarie diversità, in grado di porre dubbi e, a volte, sfibrare certezze. Oppure no. Oppure in un Paese di stupefacente bellezza e diversità uniche al mondo, annidate tutte in un lungo stivale, questa vista doppia è una grande opportunità di comprensione complessiva delle cose.

7 capitoli come i vizi capitali

E così Franziska Gilli e Barbara Bachmann, che lavorano a livello internazionale per diversi media in Germania e in Italia, hanno disposto la loro geografia di indagine prendendo come mappa i vizi capitali. E trovando per ognuno, anzi per ognuna delle tante testimoni raccontate e fotografate, il proprio doppio: gola e disciplina; avarizia e generosità; ira e amore; invidia e lode; lussuria e svogliatezza; superbia e dubbio; accidie e zelo. Quasi un tentativo di sciogliere i nodi di queste dicotomie, di far fluire tra gli opposti, tra Vergini e Maddalene, la realtà in movimento di creature combattive e spesso impavide. Che negli ultimi anni, tra movimenti femministi, impegno politico, capacità di emergere negli studi, indipendenza anche dalla coppia, ha fatto sì che le donne italiane si siano impegnate collettivamente e spesso da sole per provare ad essere finalmente se stesse. Difficile, comunque. Forse più che altrove: «Il rapporto tra i sessi è permeato da troppe certezze - scrivono le autrici - e troppi sono i dogmi, riconducibili in parte alla cultura fascista, ai quali la società italiana continua a piegarsi, più o meno consapevolmente».

E quando questo percorso di riscatto dal machismo non solo politico, poteva iniziare a compiersi ecco, negli anni Ottanta, un’altra particolarità italiana: «Da decenni, infatti - aggiungono - gli ideali di bellezza sono dettati dall’impero mediatico berlusconiano». E dunque il viaggio del libro inizia con una “velina”. Termine forse inspiegabile fuori dai nostri confini. Parola che nasconde sguardi indiscreti, pulsioni da divano e nata a “Striscia la notizia”, trasmissione cult, che proprio nelle reti berlusconiane, va in onda ininterrottamente dal 1989 registrando ogni sera un ascolto da oltre 4,5 milioni di spettatori. La donna a Striscia ha una particolarità: tace. Anzi: non gli è consentito parlare neppure quando i conduttori le rivolgono la parola. Nata postina (di veline) continua a vivere mostrando glutei. Ma anche prendendo slancio da quella trasmissione per diventare miss o fidanzata di calciatori. Anche conduttrice. «Ma - spiegano Barbara e Franziska - nelle fasce di maggior ascolto è praticamente assente un’immagine femminile alternativa rispetto al modello dominante». Più che le parole, sono le immagini a raccontare. E occhieggiano tra sguardi malinconici in sala trucco al grigiore di un casting per miss Italia, dove i costumi, gli specchi e le telecamere non riescono a nascondere il vuoto di quei mondi. Pur tra grida mute forse di disperazione. Ma poi ci sono le nuove famiglie. E, per fortuna, i nuovi uomini. Come Simone, che dice: «Nella nostra società sono spesso le donne a sacrificare la propria professione per i figli. Per me parità di genere significa parità di diritti e doveri: a casa, sul lavoro, ovunque». Donne diverse, coppie alle prese con la sfida del Covid e dunque col gestire la parità sfuggente nel corso dei lockdown, ragazze ossessionate dal controllo del proprio corpo, madri sconvolte dai traumi di esperienze legate alla violenza ostetrica, donne impegnate in mille lavori. Che sbottano: «Nessuno mi deve più dire: stai zitta!». E poi suore, assistenti, religiose e no. Con una finestra, molto significativa sulla pubblicità. Che apre alla comprensione degli schemi mentali più di un trattato di antropologia dei sessi. Dai jeans Jesus col sedere di “chi mi ama mi segua” ai terribili spot sugli attrezzi domestici dove a manovrarli c'è sempre lei. E infine le tante facce delle ragazze dal viso pulito che aprono i cortei della protesta al femminile, femministe e no, donne comunque, dal mee too al se non ora quando . «Il grido è una metafora della nostra rabbia» dice Athena, mentre nelle pagine a fianco scorrono i fumi rossi delle proteste, i ciclostile dei collettivi, la voglia di esserci di mamme e studentesse: «Insieme siam partite, insieme torneremo». Duro ancora essere donne in Italia. Tanto che, al termine di una delle settimane più sanguinose sul piano dei femminicidi, avvenuti tutti nella stretta cerchia famigliare o amicale, il procuratore generale della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi ha definito questo tipo specifico di delitti: «Un’emergenza nazionale».













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