l’ospite in redazione

Forcato: «Riempivamo il Druso, ora la Provincia non dialoga più»

Sandro Forcato, assieme alla moglie Pina Zampieri, lancia un appello al futuro assessore «Ci vuole più equità, solo così si può allargare l’offerta e dare voce a tutte le associazioni italiane della cultura»


Paolo Gaiardelli


BOLZANO. Forse la “loro” Bolzano non c’è più. Quella in cui era possibile organizzare una prima nazionale di Dario Fo in pochi giorni, o farsi portare gli strumenti dal pubblico perché un gruppo riuscisse ad esibirsi. Ma Sandro Forcato e la moglie Pina Zampieri, ospiti nella nostra redazione, hanno ancora voglia di fare spettacolo, di mettere a disposizione della comunità la loro esperienza; è successo per quasi 50 anni con La Comune, accade ora con l’Arte del far ridere. Un percorso comunque tutt’altro che agevole, sentendo le loro parole, per una politica culturale provinciale ritenuta poco equa e non attenta. «È per questo che idealmente vorremo scrivere una lettera al prossimo assessore italiano - racconta Sandro Forcato -. Perché ponesse l’attenzione su alcuni aspetti che attualmente davvero non funzionano».

E di quali problemi parliamo?
In primo luogo della consulta culturale. Che esiste ancora... Sì, ma che è stata snaturata perché non ha più la voce delle associazioni del territorio. Un tempo vi era un referendum tra le realtà della provincia che eleggevano i loro rappresentanti e così si sentivano ed erano tutelate. Mancando questi, i contributi sono elargiti senza un vero rapporto con chi opera.

Ma è un discorso solo di Provincia o c’è di mezzo anche il Comune?
Noi con il Comune ci siamo sempre trovati. C’è sempre stato dialogo, quello che invece manca dall’altra parte. Per fare un esempio del rapporto che abbiamo avuto con l’amministrazione del capoluogo, ricordo quella volta che portammo in città, in prima nazionale, “Guerra di popolo in Cile” di Dario Fo; una rappresentazione incredibile, la cui messa in scena fu organizzata in quattro giorni.

Come in quattro giorni?
Era il 1973; Dario Fo mi chiamò di martedì per dirmi che aveva pronto uno spettacolo sul colpo di Stato in Cile e mi propose di portarlo nel fine settimana.

E come avete fatto?
Ci siamo messi a studiare una soluzione coinvolgendo il Comune e venne fuori che si poteva usare il palazzetto di viale Trieste. Così, facendo una promozione assurda e anche abusiva, il sabato si riuscì a fare e fu un successo.

Dario Fo è sempre stato un punto fermo per La Comune…
Abbiamo iniziato con lui in Fiera. Era il giugno del 1971, gli spettacoli proposti furono “Morte accidentale di un anarchico” e “Mistero buffo”. Tanto teatro, ma anche tanta musica.

Chi fu il primo artista che portaste al Druso di Bolzano?
Edoardo Bennato. Qualcosa di clamoroso.

Per quale motivo?
Perché nei giorni precedenti all’evento il tempo era davvero brutto e quindi la prevendita era andata male. Poi, nel pomeriggio del concerto, uscì il sole e si presentarono migliaia di persone alla cassa. Noi non ce lo aspettavamo, e in più c’era una capienza massima consentita di 7000 posti.

Ma come si faceva però a tenere fuori tanta gente?
Non so esattamente quante persone entrarono, sicuramente più del lecito, tanto che io e mia moglie ci nascondemmo nella folla per non farci trovare. E poi da lì ne vennero tanti altri... Assolutamente. Ho ritrovato un volantino del 1981 dove si annunciavano, un giorno dietro l’altro, Antonello Salis, Pino Daniele e Fabrizio De André.

Aneddoti anche qui?
Come no. Pino Daniele, ad esempio, temeva di trovare un pubblico freddo. E invece quella serata con lui sul palco è rimasta indimenticabile.

La vostra è sempre stata una proposta a 360 gradi.
Certo, non dimentichiamo che abbiamo anche organizzato il Festival Multietnico in quel luogo perfetto che era il Kubo e che purtroppo ora non c’è più. Ci sono stati spettacoli teatrali memorabili, e ancora momenti in musica, come la collaborazione che instaurammo con il Folkstudio di Roma. Proprio da questa, portammo, tra gli altri, i Tarantolati di Tricarico. Nel viaggio per raggiungere Bolzano ebbero un incidente con il loro furgone e gli strumenti si danneggiarono. Gli chiedemmo di salire sul primo treno e nel frattempo allertammo il pubblico, invitandolo a portare in Fiera qualsiasi cosa potesse essere utilizzata per fare musica. Inutile sottolineare come anche quella fu un’esperienza memorabile.

Dopo averne viste tante, c’è ancora voglia di regalare qualcosa a questa comunità?
Certo. Ma con norme che ti consentano di farlo.

Cosa manca ancora?
Torniamo alla nostra lettera al futuro assessore e ad altri due punti fondamentali sui quali riflettere. Da una parte quello dell’imparzialità, prevista dalla Costituzione e dalla disciplina del procedimento amministrativo, che il nostro assessorato provinciale, a differenza di quello tedesco, non applica, facendo delle distinzioni evidenti sulle percentuali dei contributi elargiti. Dall’altra la norma per cui bisogna avere un minimo di due anni di attività per poter richiedere il sostegno da parte dell’ente, qualcosa di iniquo.













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