Il "riscatto" della collezione d'arte nata grazie ai crimini nazisti



Come definire quanto è successo negli ultimi mesi alla Heidi Horten Collection, il museo aperto lo scorso anno a Vienna? Rivoluzione è la parola giusta? Probabilmente sì, perché quanto è offerto ora agli occhi dei visitatori della mostra “We love” inaugurata venerdì è un cambiamento di rotta deciso rispetto a quanto si era visto e sentito al debutto della struttura situata nel centro della città, tra l’Opera di Stato e l’Albertina. Ma, prima di tutto, bisogna ricordare come nacque la collezione di cui si sta parlando.

E bisogna cominciare da lei, Heidi Horten, che è stata una donna bellissima e ricchissima che ha sposato uomini ancor più ricchi di lei, e che ha speso i propri soldi non solo in gioielli, abiti, yacht e ville da sogno, ma anche in quanto amava di più: l'arte. La passione per il collezionismo la condivise agli inizi con il primo marito, il miliardario tedesco Helmut Horten, morto nel 1987, il re dei grandi magazzini negli anni Sessanta, finito nell’occhio del ciclone quando si iniziò a voler fare chiarezza sulla sua immensa fortuna creata beneficiando dei crimini nazisti nei confronti degli ebrei tra il 1936 e il 1939. La Horten, nata Jelinek, non aveva figli e sapeva bene che alla propria morte i suoi beni sarebbero finiti sparsi in tutto il mondo battuti all’asta. Per evitare che questo accadesse anche alla straordinaria collezione d’arte di cui si era circondata, commissionò la realizzazione del museo che è stato inaugurato il 3 giugno 2022.

Morì poco dopo l’inaugurazione, sapendo che la collezione era ormai nelle mani affidabili di Agnes Husslein, l’amica e confidente artistica che l’aveva assistita nell’acquisto delle circa 500 opere d’arte per quella che è stata definita “una delle più imponenti collezioni private europee”, e che è diventata la direttrice del museo. All’epoca dell’apertura al pubblico della struttura con la mostra “Open” fu detto che le opere sarebbero state presentate a rotazione tematica nei 1500 mq espositivi, assicurando ampio respiro ai lavori esposti e rendendo ogni volta diverso il museo.

Ma non ci furono parole chiare sulla provenienza dei soldi che proiettavano ombre inquietanti sulla collezione, anche se la stessa Horten nel 2020 aveva commissionato al prof. Peter Hoeres, docente di storia tedesca contemporanea all’Università di Würzburg, un parere esperto “sulla ricchezza e sullo sviluppo economico di Helmut Horten nel contesto dell’ arianizzazione durante il periodo del Terzo Reich”, i cui risultati sono stati presentati in varie conferenze stampa nel 2022. Ora è cambiato tutto. La nuova mostra è stata inaugurata con uno spazio e un comunicato stampa dedicati alla "responsabilità storica”, in cui si evidenzia che il primo marito della Horten, morto nel 1987, chiaramente beneficiò del regime di ingiustizia instaurato dai nazisti. Che acquisì grandi magazzini di proprietà ebraica sfruttando la difficile situazione dei loro proprietari, e che approvò il lavoro forzato nelle due fabbriche di armamenti di cui era diventato azionista nonché direttore generale.

Ma anche che, nonostante il rapporto commissionato dalla stessa Heidi Horten, finora “ è mancata una comunicazione proattiva, trasparente e aperta sui risultati della ricerca sull’accumulo di ricchezza di Helmut Horten”. E il museo, che è finanziariamente indipendente dalla fondazione svizzera Helmut Horten, è cosciente dell’enorme peso che deriva dal nome Horten e esprime profondo rammarico per non essersi espresso prima.

A cuore più leggero si può quindi passare alla seconda rivoluzione, e di fatto la più importante, che la mostra “WE love”porta con sé. Ed è il mostrare tutti insieme, per la prima volta, i pezzi più importanti della collezione che Heidi Horten ha riunito in decenni di acquisti: sono esposte 150 opere di 75 artisti che offrono una panoramica impressionante sull’espressionismo e sull’arte dagli anni Sessanta e Settanta ai nostri giorni. Diversamente dalle esposizioni precedenti che assicuravano grande respiro alle selezionate opere presentate, ora ogni spazio utilizzabile del museo, incluso quello aereo, è messo a disposizione di capolavori assoluti ( la cui provenienza è stata indagata ed è “perfettamente pulita", come ha sottolineato la Husslein). Partendo dal secondo piano -la mostra inizia per così dire “capovolta”- si passa dall’espressionismo tedesco che la Horten amava tanto, con opere di Nolde, Kirchner, Beckmann, Pechstein,anche attraverso gli interessanti “davanti-didietro” di Kirchner che, come Heckel e Pechstein spesso dipingeva le sue tele su entrambi i lati per risparmiare. E, a proposito di tele, ecco la sezione dedicata all’andare oltre, con 4 tagli di Lucio Fontana di diversi colori che offrono un incredibile colpo d’occhio, ma anche la visione di Yves Klein.

E poi Josef Albers, Jean Dubuffet e Paul Klee, ma anche uno spazio dedicato a Magritte e tante opere sbalorditive di Andy Warhol , anche nella sorprendente collaborazione con Jean Michel Basquiat. Al piano terra sono proposti capolavori di Georg Baselitz, Francis Bacon, Damien Hirst e Keith Haring proprio dove in futuro – ed ecco la rivoluzione- verrà esposta una collezione permanente con le opere più straordinarie della collezione.

Venti di esse saranno scelte dal pubblico che a ogni piano è invitato a votare le preferite nell’iniziativa #ARTfluence. Basta lo smartphone per contribuire a plasmare il museo del futuro, che potrebbe essere rappresentato dal dipinto malinconico di Gustav Klimt “Unterach sul lago Attersee”, cui è dedicato il primo focus della new wave del museo.

 













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