L’INTERVISTA»BARBARA TONZAR

BOLZANO. Sotto molti aspetti l’Africa resta ancora un continente sconosciuto. Nonostante il grande fenomeno migratorio in corso pochissimi europei saprebbero dire dove si trovano il Ghana o la...


di Fabio Bonafè ; w


BOLZANO. Sotto molti aspetti l’Africa resta ancora un continente sconosciuto. Nonostante il grande fenomeno migratorio in corso pochissimi europei saprebbero dire dove si trovano il Ghana o la Somalia. Eppure per molti stiamo subendo una “invasione” africana! Moltissimi europei ed italiani ignorano anche che per più di due secoli l’invasione in Africa l’abbiamo fatta noi. Forse servirebbe una settimana della memoria per ricordarci, almeno a noi italiani, che per un po’ di tempo l’abbiamo fatta da padroni in Libia, in Somalia, in Eritrea e in Etiopia.

In mancanza di questa settimana da inventare si dovrebbe cominciare a leggere qualche libro. Uno di questi potrebbe essere anche “Colonie letterarie”, edito da Carrocci, che lunedì 25 febbraio alle ore 18 sarà presentato, su iniziativa della Biblioteca Provinciale “Claudia Augusta”, presso il Centro Trevi di via Cappuccini a Bolzano dall’autrice Barbara Tonzar e dallo storico Giorgio Mezzalira. Sul libro e sui temi che affronta abbiamo rivolto qualche domanda all’ autrice.

Quali sono gli autori e le opere di cui ti sei occupata e di quale arco di tempo si tratta?

«Mi sono occupata di autori che dell'Africa hanno avuto un’ esperienza diretta e le cui opere si collocano cronologicamente tra la fine del sogno imperiale, cioè intorno alla fine degli anni Trenta, e gli anni Sessanta, al termine dell’ Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia. Le opere che ho analizzato sono “Mohamed divorzia” (1944) di Paolo Cesarini, “Tempo di uccidere” (1947) di Ennio Flaiano, “Il Libro della Libia” (1945) e “Il deserto della Libia” (1952) di Mario Tobino, “Settimana nera” (1961) di Enrico Emanuelli».

Il grande pubblico conosce la storia coloniale africana dell’Italia? Quanto è conosciuta anche tra gli insegnanti e nelle scuole la letteratura che vi fa riferimento?

«Come hanno messo in rilievo i principali storici del colonialismo, per un intreccio di fattori legati alle modalità esclusivamente militari della decolonizzazione italiana e alla valenza assolutoria del discorso egemonico repubblicano incentrato sul mito degli “italiani brava gente”, si è prodotta nel Dopoguerra una vera e propria rimozione del colonialismo dalla coscienza collettiva, almeno fino agli ultimi decenni del secolo scorso; tutto ciò ha influito sulla costruzione del canone letterario nazionale, portando all’ esclusione o marginalizzazione di autori e testi legati alla tematica coloniale. Pertanto non può stupire la scarsità, nelle antologie o nei programmi scolastici, di testi letterari legati alla tematica coloniale, mentre nell’ ambito dei programmi di storia il colonialismo europeo e anche quello italiano mi sembrano sufficientemente trattati. Credo infine che negli ultimi decenni la diffusione di saggi storiografici di agevole lettura come ad esempio le opere di Angelo Del Boca, l’ affermazione della letteratura della migrazione e la produzione di romanzi legati tematicamente al colonialismo ad opera di autori di rilievo (Lucarelli, Mazzantini, Camilleri), abbiano contribuito sensibilmente almeno a sollevare il velo su questioni a lungo rimosse, pur in assenza di un dibattito pubblico più ampio ed incisivo».

In che modo questa letteratura può aiutarci a capire meglio non solo la storia passata, ma anche l’attualità?

«Questa letteratura, animata da intenti critici e demistificatori verso il colonialismo, può farci riflettere in primis sulle responsabilità storiche del colonialismo e sull’ azione disgregatrice da esso esercitata sulle società africane, i cui effetti sono ancor oggi percepibili; inoltre mette in rilievo, come già negli anni Sessanta evidenziò Emanuelli in “Settimana nera”, la persistenza di pratiche di soggezione neocoloniali anche dopo la fine dell’ Impero. Ci fornisce infine utili spunti di riflessione per leggere alcuni aspetti del presente postcoloniale, ad esempio il fenomeno migratorio, in rapporto al passato coloniale».

Quali sono le opere che potrebbero essere avvicinate più facilmente o utilmente da un lettore di oggi?

«Mi sento di suggerire la lettura di “Tempo di uccidere” di Flaiano, in quanto testo complesso e polisemico, che pur riprendendo modelli orientalisti supera l’ eurocentrismo, riconoscendo il valore e la dignità dell’ abissino Johannes e proponendo un diverso modo di approcciarsi all’ alterità, fuori dalla logica dell’ imperialismo; inoltre le pagine finali alludono polemicamente, nel commento alle vicende raccontate nel romanzo, alla questione della rimozione del colonialismo dal dibattito pubblico».

Quali sono i tratti fondamentali del rapporto con l’Africa che si ritrovano in queste opere e che forse sono ancora presenti nel nostro immaginario a distanza di tanti anni?

«Va detto in primo luogo che i testi analizzati oscillano tra una visione critica del colonialismo, demistificato e svelato nei suoi aspetti più negativi, e il ricorso, talora inconsapevole, a moduli e stilemi orientalisti nella rappresentazione dell'alterità; ciò appare evidente nell’ immagine dei nativi, dipinti come esseri primitivi e prossimi più alla natura che alla civiltà, soprattutto se si tratta di figure femminili. Anzi compare spesso un’ analogia tra donna e Africa, come se la conquista “erotica” violenta, da parte del colonialista, della donna africana, rappresentata come un essere inferiore privo di volontà, fosse la metafora dell’ impresa coloniale, raccontata mediante un linguaggio “genderizzato” per accentuare il divario tra bianchi e nativi. Inoltre talora la donna, metafora dell’ Africa, è portatrice, come la Mariam di Flaiano, di contagio e malattia: si tratta di “un impero contagioso”, commenterà argutamente uno dei personaggi del romanzo. Credo che non sia difficile interrogarsi su quanto di tali stereotipi sia filtrato nella nostra epoca, pur subendo delle mutazioni genetiche, e continui a influire sulla rappresentazione dell'Altro sia a livello mediatico che di percezione quotidiana».

In quale misura la storia coloniale italiana resta ancora una pagina rimossa o deformata nella coscienza nazionale?

«Forse non esiste neppure una coscienza europea che abbia fatto veramente i conti con la storia e la realtà dell’Africa. Indubbiamente la rimozione del passato coloniale, e dunque l’ assenza di una riflessione critica sulla propria storia, hanno ostacolato o bloccato il processo di decolonizzazione culturale, favorendo la permanenza nell’ immaginario di stereotipi e immagini dell’ alterità connotati in senso talora apertamente razzista, che purtroppo riemergono, sotto mutate spoglie, anche nella società attuale, come vari episodi di cronaca sembrano confermare».

C’è qualcosa nelle reazioni del pubblico durante le tue presentazioni che l’ ha colpita maggiormente? É stata anche in qualche scuola o ci andrebbe volentieri?

«Finora ho presentato il libro solo nell’ ambito di festival, circoli culturali, librerie o biblioteche, ma mi interesserebbe molto anche presentarlo in qualche scuola. Mi ha colpito nel pubblico la tendenza a fare delle riflessioni sul rapporto tra passato e presente, sia a livello storico che letterario, con riferimento a romanzi di autori contemporanei che trattano tali tematiche. Credo che la letteratura abbia svolto e svolga ancor oggi un’ importante funzione di denuncia e sensibilizzazione».

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