La storica scissione del 1921: nasce il Partito Comunista

Dai socialisti di Turati al Pd di Renzi, quando la sinistra entra in fibrillazione


di Fabio Demi


di Fabio Demi

Il tono è freddissimo, sprezzante. Più che un addio, è un ripudio. Le parole di Amadeo Bordiga sono perentorie: «I delegati che hanno votato la mozione della frazione comunista abbandonino la sala; sono convocati alle 11 al Teatro San Marco per deliberare la costituzione del Partito comunista, sezione italiana della Terza Internazionale».

I comunisti si avviano verso la nuova assise di fondazione cantando l’Internazionale, scortati da guardie regie e carabinieri ma anche da gruppi di operai scesi dalle gallerie del Goldoni dove avevano seguito i lavori del congresso della scissione.

Ora che nella sinistra italiana, in casa del Pd ma non solo, soffiano nuovamente forti i venti della divisione, rievochiamo i giorni della madre di tutte le scissioni, quella di Livorno del 21 gennaio 1921, quando i comunisti lasciarono il Partito socialista. Lo facciamo usando i resoconti del quotidiano livornese “Il Tirreno”, che allora si chiamava “Il Telegrafo” e che ovviamente dedicò ampio spazio al grande evento: aveva proprio sotto casa un appuntamento politico che, tutti ne erano consapevoli, avrebbe avuto enormi ripercussioni nel futuro.

. 14 GENNAIO 1921. “Alla vigilia del congresso socialista”, titola “Il Telegrafo” in seconda pagina. E chiarisce subito le cose: «I nostri lettori conoscono la posizione ben netta da noi assunta in ogni circostanza di fronte ai socialisti.

Sanno come tale posizione sia sempre stata di aperta battaglia soprattutto verso quelle tendenze che mirerebbero, in nome di un’utopia irraggiungibile, a gettare il paese nel baratro di una catastrofe paurosa». Nonostante questo non verrà meno «la tradizionale ospitalità della nostra Livorno, la quale ha sempre dato prova della più alta educazione civile». Il giornale dà conto dei preparativi al “Goldoni”, dell’arrivo dei congressisti e dei numerosi giornalisti, delle imponenti misure prese per garantire la sicurezza ed evitare scontri sanguinosi con i fascisti, e del manifesto di benvenuto fatto affiggere dal Comune («...Un legittimo sentimento d’orgoglio in quanto Livorno è stata scelta, oltre che come importante baluardo conquistato al Socialismo, per la fama che gode di essere ospital sede in cui generosa e cordiale è l’accoglienza».

15 GENNAIO. Prima pagina e titolone: «Il Congresso socialista di Livorno. L’inizio dei lavori rinviato al pomeriggio». Il nostro cronista si lancia nelle previsioni, che sono giuste. Leggiamo: «Si dà per certa la scissione. Ed infatti se la sincerità e la logica avessero di regola un’influenza decisiva sulle manifestazioni della vita politica italiana, congressi socialisti compresi, nemmeno per un attimo potremmo dubitare della fatalità di un distacco dei comunisti di Bombacci dai comunisti di Serrati. Queste son le due tendenze - comunismo puro e comunismo... impuro - che indubbiamente saranno più impegnate nel dibattito. Le divide una barriera difficilmente superabile.

Adesione piena ed incondizionata ai 21 punti di Mosca, obbedienza cieca ai comandamenti di Lenin, da una parte; accettazione di queste due cose con riserva, cioè con una prudente considerazione delle particolari difficoltà dell’Italia, dall’altra». Segue un’intervista a Nicola Bombacci, individuato come leader della frazione comunista (in realtà la figura più rappresentativa era Bordiga). Il titolo è eloquente: “Non più ministri ma commissari dei Soviety”. In un sottotitolo si ribadisce, dando prova di avere informazioni molto dettagliate: «Scissione sicura... I comunisti dovranno rapidamente costituire il loro partito. Appena avvenuto il voto i comunisti si riuniranno per deliberare se dovranno scindersi o no. La loro riunione avverrebbe al teatro San Marco, già pronto. La loro deliberazione, sotto forma di mozione, sarebbe recapitata agli altri, ancora adunati, ed ognuno dei due partiti, proseguirebbe per proprio conto». Le cose in effetti, qualche giorno dopo, andarono così.

17 GENNAIO. Il teatro Goldoni è una polveriera. “Il Telegrafo” titola a tutta pagina: “Le tumultuose sedute al Congresso socialista di Livorno. Verso la scissione del partito...». La descrizione della prima riunione di sabato 15 prende una pagina intera. Il segretario Menotti Serrati è subito sotto accusa. Per i comunisti, «Serrati si burla di coloro che ammettono di trovarsi in un periodo rivoluzionario. La situazione è in realtà già matura e chi nega il carattere rivoluzionario delle lotte combattute dopo la guerra, come fa Serrati, si è definitivamente collocato sul terreno dei riformisti». Il giornale parla di vivaci incidenti, scambi di invettive, grida continue “Viva la Repubblica dei Soviety!». Nella situazione esplosiva e drammatica c’è anche spazio per l’ironia. Il cronista (che si firma “Gich.”) ci fa sapere che «si è persino ricorsi allo spiritismo per avere qualche indiscrezione sul Congresso.

Ho assistito a una seduta: in una stanzetta quattro o cinque credenti attorno a un tavolino, a tre gambe, al buio o quasi. Grande concentramento, grande consumo di sigarette in attesa che lo spirito si riveli. Ma il tavolino è pigro... Finalmente ecco che si muove: ta..ta..ta... Chi sei? M..a..r..x... Benone! Giungi proprio a proposito! Sei qui per il Congresso? Segno affermativo. - Illustre maestro! Potresti dirci qualche cosa sul Congresso, la vostra impressione, quali risultati potrà avere. L’attenzione diviene più intensa, il tavolino resta immobile. Si replica la domanda, nulla! Finalmente ecco si muove. Puoi rispondere? Sì o no? Con molta incertezza, con molta lentezza il tavolino batte queste lettere: F..u..m..o... (alfabeto Morse?, ndr) E non fu possibile ricavarci altro». Che voleva dire Carlo Marx?

18 GENNAIO. L’urto delle due tendenze nei discorsi di Costantino Lazzari e di Umberto Terracini. “Il Telegrafo” titola sugli interventi del vecchio socialista, Lazzari, e del giovane comunista, Terracini, rappresentante del gruppo di Ordine Nuovo (lo stesso di Gramsci e Togliatti). Lazzari difende con passione il valore dell’unità: «Un giovane compagno nostro si è presentato a questa tribuna per offendere la nostra unità. Per quel giovane la nostra unità è un semplice fantoccio. Dobbiamo anche noi considerarla un fantoccio, o compagni, noi che per l’unità abbiamo combattuto per anni e combattiamo oggi con uguale fede?». Terracini la vede molto diversamente: «La scissione del partito socialista che chiediamo in questo momento è un fatto rivoluzionario. Noi comunisti affermiamo che la presa di possesso del potere in Italia per parte del proletariato, non può avvenire che con la costituzione dei consigli degli operai e dei contadini».

19 GENNAIO. Giornata di tumulti. Mentre parla Vincenzo Vacirca, vicino alle posizioni di Lazzari, racconta il cronista, «Bombacci da un palco del proscenio sventola la bella barba e l’abbondante chioma terribilmente arrabbiato; ma un coro di urli, di canti, di fischi e ...altri rumori impediscono che si possa afferrare qualsiasi interruzione. Si dice che Bombacci abbia tirato fuori la rivoltella». In pratica sarebbe successo che Vacirca avrebbe apostrofato Bombacci con un insultante “Rivoluzionari da temperino”, esibendo giust’appunto un temperino. E Bombacci non avrebbe esitato a metter mano al revolver. Le sedute erano ai limiti dell’ingestibilità.

20 GENNAIO. Parla Amadeo Bordiga, capo della frazione comunista. “Il Telegrafo” titola: «La concezione catastrofica di Bordiga». Il resoconto dell’ intervento è nella parte nobile della prima pagina (tipo editoriale) mentre il discorso di Filippo Turati, figura centrale del socialismo italiano, è a fondo pagina. «Alla concezione riformista - scrive il giornale - secondo la quale il mondo capitalista lentamente e pacificamente avrebbe portato a una società socialista, Bordiga contrappone la concezione marxista, catastrofica, affermante la necessità dell’urto violento per spezzare la compagine borghese e dar vita al nuovo organismo proletario, qual è sorto in Russia e quale dovrò sorgere anche in Italia». La distanza con quello che dice Turati è abissale: «Le classi che oggi tengono il potere hanno più paura dei mezzi legali che della violenza... Il bolscevismo russo non è che un nazionalismo russo in una forma orientale, ed esso si aggrappa a noi per prolungare la sua vita, e noi non possiamo seguirlo... Temete oggi di ricostruire per la borghesia? Sperate che dalla miseria crescente nasca la rivendicazione sociale? No! Non nascono che le guardie regie e il fascismo».

21-22 GENNAIO. I giorni delle votazioni e della divisione. Tutto come previsto. Non ci sono sorprese o ripensamenti. “Il Telegrafo” fornisce le cifre finali: vincono gli unitari di Serrati, che ottengono quasi il doppio dei voti dei comunisti. Bordiga contesta i risultati e poi si arriva alla conclusione che tutti aspettavano. «Ed abbiamo l’ esodo dei comunisti - scrive il giornale - al quale si vuol dare un certo effetto scenico. I comunisti abbandonano la sala in massa cantando l’ Internazionale. Scoppiano vivissimi applausi. Gli unitari protestano con qualche fischio». 21 gennaio 1921: la scissione è cosa fatta.

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