Il libro

Laura Conti, l’eretica di sinistra che anticipò l’allarme ecologico 

 Valeria Fieramonte ha dedicato un libro all’ex partigiana, sopravvissuta al lager di Bolzano, scienziata  ed ecologista. «Negli anni ’80 le sue ricerche mediche si connettono con la sostenibilità, ai danni della chimica» 


Paolo Campostrini


Bolzano. Era bella Laura Conti. E dopo l’8 settembre, una partigiana. Formazione: Giustizia e Libertà. Il suo gruppo pensa di mettere insieme le due cose e di affidarle un compito pericoloso: aggirarsi davanti alle caserme dei battaglioni repubblichini a Milano e poi sorridere a quei ragazzi in camicia nera, scambiare qualche parola, entrare in confidenza e infine, se capiva che c’era modo, farli disertare. Dai un giorno, dai un altro, la sua bellezza attira l’attenzione anche degli ufficiali. Qualcuno della polizia la segue, vede dove entra, fa irruzione e la sorprende, lei e le sue compagne, mentre preparano i volantini. È l’arresto. Il carcere è quello di San Vittore.

Nelle celle, la resistenza vede spesso gli ultimi giorni dei suoi combattenti. Laura Conti subisce la sorte di tanti, il trasferimento nel campo di Bolzano, il Durchgangslager Bozen, anticamera di Auschwitz. Ci arriva nel settembre del ‘44, a 23 anni. I treni ogni tanto partono da lì vicino verso la Germania, magari domani sarà il suo giorno. Ci sale la sua “comandante” a Milano, destinazione Revensbruck, il lager delle donne. Sull’entrata non c’era scritto “Arbeit macht frei” ma “vi spezzeremo ogni volontà”. Invece Laura no. Il 25 aprile del ‘45 la vede magra ma viva. Dice Valeria Fieramonte: «Era la dieta dei nazisti, così stretta che, calcoli loro alla mano, portava alla morte dopo un anno. Senza fatica per loro». Valeria Fieramonte ha raccontato tutta Laura (“La via di Laura Conti”, Enciclopedia delle donne) e la ragione è che si è trattato di una donna in piedi. Non solo partigiana ma medico, scienziata, convinta ambientalista. Le sue ricerche anticipano di decenni le certezze ambientaliste dei nostri giorni, precedono la sensibilizzazione che ora attecchisce quasi ovunque, aprono la strada alla nuova scienza intorno alla salvaguardia del pianeta. E ancora le battaglie per i diritti umani che sono finalmente connesse con quelle per la terra e tutti i suoi abitanti, uomini e no. Scrive e pubblica 26 libri, con una sterminata quantità di articoli e di saggi. 

Quanti mesi a Bolzano per Laura Conti?

«Otto mesi nel lager. Era pelle e ossa alla fine».

Sopravvive e cosa fa?

«Torna a Milano. Negli ultimi giorni conosce un ragazzo. Si fidanzano. Ma qui si fa prendere dalla nuova politica dell’Italia libera».

Lei era socialista?

«Certo. Ma a poco a poco matura la scelta comunista. Oddìo, sempre a lato del partito».

Che significa?

«Che era, come si diceva, una eretica».

Fuori dalla “chiesa” ufficiale...

«Non fuori ma molto critica. E dunque guardata con sospetto. A lungo emarginata. Lei è medico, molto vicina al mondo dell’assistenza, visto che lavora all’Inail. Ebbene scrive un libro, si intitola “Trattato su assistenza e previdenza sociale”. Ci mette dentro tutte le sue convinzioni, ricerche ed esperienze sul nuovo modo di affiancare i più deboli, i lavoratori in difficoltà anche di salute».

Che fine fa?

«Al macero. Si era permessa di criticare il sistema sovietico dove si aumentava la produzione ma non si diminuivano i costi. Mette in luce le vessazioni anche economiche del sistema. Insomma, non le mandava a dire».

E nel partito?

«Sposa tesi che oggi possiamo giudicare in netto anticipo sui tempi».

Una scomoda, Laura…

«Ma che intorno a se spandeva ottimismo ed entusiasmo. Nel Pci era una sorta di separata in casa. Ma era pur sempre una resistente. Tutti conoscevano la sua storia, le sue azioni da partigiana, la prigionia. Per questo, era tenuta anche in palmo di mano».

È in questi anni che matura la scelta ecologista?

«Intorno agli anni Ottanta le sue ricerche mediche si connettono con gli interessi intorno alla sostenibilità. Parte dal corpo umano: studia le conseguenze della cattiva industrializzazione sulla pelle delle persone che osserva e cura, i danni della chimica, la possibilità che l’uso di certe sostanze nelle lavorazioni siano in grado di incidere anche sul patrimonio genetico producendo danni irreversibili».

Ma non è entrata nel movimento ecologista.

«No. Poteva aderire ai verdi. Ma restò nel Pci. Per fare lì, in un grande partito, le sue battaglie. Ovviamente il suo punto di riferimento culturale, scientifico e politico passò dai paesi comunisti agli Stati Uniti. Perchè era lì, nell’America dei movimenti, delle università, che si era fatta strada la nuova sensibilità verso il pianeta e i rischi che correva».

Era un dibattito già strutturato?

«Eccome. Oggi guardiamo alle proteste degli ecologisti come fossero fenomeni recenti. In realtà vengono da lontano. Da ricerche e studi e pubblicazioni come quelli di Laura. Il suo approccio era scientifico e umano allo stesso tempo. Ricordo quando la vidi la prima volta…».

Dove accadde?

«A un incontro della Fgci, la gioventù comunista, a Milano. Avevo sedici anni. Era una persona che affascinava chiunque la ascoltasse. Trascinava».

In che modo?

«Le sue parole. Portava esempi concreti. Partiva sempre dagli esseri umani. Ad esempio, i suoi scatti dialettici. Sbottava e faceva esempi da far sorridere ma soprattutto andare al dunque».

Ad esempio?

«I rischi che corre il nostro mare. Non solo per la plastica ma per le infinite sostanze nocive che si riversiamo dentro. A un certo punto dice: ragazzi ma dove può andare il mare a fare pipì, mica ha i reni… Ecco questa era Laura Conti: scienziata, medico, donna».

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