Margaret Ridpath  e lo smantellamento dell’universo

Giornalista di Cleveland, autore prolifico, amato da Stephen King ma rimproverato al suo esordio nientemeno che dal presidente Eisenhower per il linguaggio osceno di alcuni suoi personaggi


Marco Pontoni


Giornalista di Cleveland, autore prolifico, amato da Stephen King ma rimproverato al suo esordio nientemeno che dal presidente Eisenhower per il linguaggio osceno di alcuni suoi personaggi, Don Robertson (1929 - 1999), è stato scoperto in Italia solo recentemente grazie al lavoro di scouting e traduzione di Nicola Manuppelli e all’editore Nutrimenti, che ha ora pubblicato anche questo “Margaret Ridpath e lo smantellamento dell’universo”. Il vaso di Pandora della letteratura a stelle e strisce è così: ogni tanto saltano fuori un John Williams, un James Salter o appunto un Robertson (tutti e tre nati guarda caso negli anni 20). Robertson amava le storie della gente. I

n questo era, oltre che un narratore, un vero cronista, di quelli che scrivono tutta la vita su una testata locale. Molti dei suoi 18 titoli sono ambientati in una cittadina d’invenzione, Paradise Falls.

Ed è qui che abita anche Margaret Ridpath. L’autore ci dice diverse cose della sua eroina fin dall’inizio, compreso l’anno della morte, il 1974, ma non la causa. Il suo modo di procedere è curioso e anticonvenzionale; ha in serbo dei colpi di scena ma li diluisce in una narrazione fluviale, costellata di dialoghi, aneddoti, digressioni. E attende fin quasi alla fine per giocarsi il “pezzo forte”, il contrario di quello che si fa oggigiorno. Margaret è una donna afflitta dalla paura, il che non le impedisce di diventare una campionessa di bridge e di gestire al meglio la contabilità di un grande magazzino. Una donna che si sente fatta di latta in un mondo di ferro, vergine fino a 40 anni, poi amante di due uomini assai diversi, nessuno dei quali la porta all’altare.

Siamo nella provincia Usa, fatta di small town, studi professionali, discreto benessere, sesso molto praticato, anche fuori dal matrimonio, ma senza ostentazione. Un mondo dove il dolore si nasconde, salvo a esplodere all'improvviso in gesti eclatanti, come il suicidio del padre di Margaret, in seguito alla morte della donna sposata con cui aveva una relazione. È, questo, il trauma fondativo della protagonista. L'altro è lo scivolare della madre in una “loquace follia”. Lei se ne prenderà cura per 40 anni, pur se con l'aiuto di due badanti le cui vicende vengono lungamente illustrate, nello stile che è proprio di Robertson, fatto di fili narrativi diversi che concorrono a tessere la tela del microcosmo Paradise Falls, una delle tante incarnazioni della cittadina americana, come Peyton Place o Twin Peaks. Margareth ama la verità, l'ordine e la logica. Tuttavia mantiene lei stessa dei luoghi segreti, come confessa a Irv, dentista e uomo più importante della sua vita. Il quale dal canto suo non ci trova nulla di strano.

“Ragazza mia, tutti al mondo hanno dei segreti. È scontato”. Eccolo, il sano, stoico pragmatismo di un'America che non ha ancora conosciuto le lacerazioni del 68, lo scandalo Watergate, e soprattutto il dilagare della violenza. Ma la violenza – di sapore “mansoniano”, se non “tarantiniano” - è in agguato, come scopre chi non si lascia intimorire dallo spessore di quest’opera di oltre 500 pagine.

Lo smantellamento dell'universo, a cui Margaret oppone una fiera resistenza, si manifesta, con il suo inaspettato carico di caos e ferocia nichilista nell’ultima parte del romanzo. Proprio il giorno delle dimissioni del presidente Nixon.

 













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