È già passato un anno senza Gino 

Parla il figlio Alex. «Mi manca tantissimo, il 17 ottobre compirò 30 anni senza di lui. Ho trascorso qualche bel momento con i tifosi del Bolzano abbiamo bevuto qualche birretta in suo onore. Le mascherine con il 33 e i baffi vanno forte, della statua di papà invece non ho più saputo nulla»


MARCO MARANGONI


Bolzano. Il tempo fugge, i ricordi non si cancellano e gli anniversari vanno ricordati. «È già trascorso un anno? Non ci credo», diranno in tanti. Eppure è così, il tempo è tiranno.

Oggi, un anno fa, nel silenzio di una notte d’estate, alle prime luci di un nuovo giorno (erano le ore 5,13), quasi in punta di piedi, volava in cielo la bandiera dell’hockey bolzanino, quel mito adorato e idolatrato dal popolo biancorosso, quella leggenda che unisce un uomo e un numero, il “33”. Sì, perché Gino Pasqualotto era tutto, compagno di squadra, avversario da rispettare, grande compagnone, marito e padre diventato leggenda. Per “the Crazy Horse”, il nome di battaglia, la maglia dell’Hockey Club Bolzano era la seconda pelle e il vecchio caro palaghiaccio di via Roma una residenza permanente dove coltivare la sua passione: l’hockey.

Non poteva esserci uno striscione più azzeccato a lui dedicato: “Bolzano la nostra fede, Gino la nostra bandiera”. È proprio così. Venne esposto per la prima volta nell’autunno del 1993 al Palaroma durante la sfida di Alpenliga contro Innsbruck. Lo scorso anno, alcuni giorni dopo la prematura scomparsa avvenuta a 63 anni, un nutrito gruppo di tifosi lo ha srotolato davanti al Palaonda.

Parla il figlio Alex

In occasione del primo anniversario abbiamo voluto ripercorrere un anno senza Gino assieme al figlio Alex. «Il tempo è volato, quel brontolone ora non brontola più e sinceramente lo noto. Con papà eravamo molto legati, eravamo un po’ come cane e gatto. Accadeva che a seguito di qualche discussione non ci parlavano per alcuni giorni e usavamo la mamma come mediatrice – racconta Alex –. Da nove anni non vivevo più a casa ma andavo a trovarlo spesso. Ci incontravamo in giro, sul lavoro, lui faceva le multe come ausiliario del traffico, io nella direzione cantieri».

Che anno è stato senza papà, bandiera sportiva della città di Bolzano?

«È una figura che mi manca tanto. Il 17 ottobre, lo stesso giorno del compleanno di Lucio (Topatigh, ndr), compirò 30 anni, la seconda volta senza papà. Con la tifoseria abbiamo trascorso più momenti assieme, qualche birretta in più. Mi ha aiutato molto la mia fidanzata Jessica, poi ho coinvolto spesso la mamma (Patty) che è rimasta anche lei sola. E poi c’è Konny, il mio cane. Un anno un po’ particolare anche per il Coronavirus».

Lei per ricordare papà ha prodotto una mascherina nera con il numero “33” e la riproduzione del mitico baffo di papà. È molto richiesta, perché questa simpatica idea?

«Inizialmente la mascherina doveva essere solo per me, la mamma, Lucio e qualche compagno di squadra. Robert Oberrauch ha voluto estenderla e ne abbiamo realizzate 200. Lo scopo è quello della beneficenza. Abbiamo coinvolto il veterinario Ugo Brigadoi di Appiano che è rimasto subito molto sorpreso e toccato da questa iniziativa. Lui ha fatto partire una seconda beneficenza dedicata alle sale operatorie in ambito animali mentre la mia, ovvero il ricavato delle mascherine servirà per l’acquisto di medicine e materiali per animali rimasti senza padrone».

C’è un ricordo di papà che lei custodisce particolarmente?

«Un anno prima che morisse mi ero fatto tatuare sull’avambraccio i suoi baffi e il numero “33”. All’ultimo Natale mi aveva fatto trovare sotto l’albero un bellissimo regalo, il suo caschetto rosso, quello che tutti chiamavano lo “scolapasta”. Mi ricordo quando mi regalò l’orologio marchiato con il logo delle Olimpiadi di Sarajevo dell’‘84 ma purtroppo i ladri se lo sono portato via».

In memoria di suo papà, per tutti noi il mitico Gino, ci sono nuovi progetti?

«Si – confessa Alex –. Mio papà ultimamente mi diceva di fare un libro intitolato “Non solo hockey”. Un racconto completo dei protagonisti di allora che va dalle trasferte ai momenti fuori dal ghiaccio, ovviamente comprendendo le partite».

Nei giorni seguenti la morte tutti erano pronti a realizzare una statua di Gino dove sorgeva il Palaroma oppure un murale al Palaonda, come procedono i lavori?

«Purtroppo non sono stato più informato ed aggiornato di eventuali sviluppi. Peccato».

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