Tiro a segno

Campriani: «Per centrare due ori ho sconfitto le mie paure»

Il tiratore azzurro vive da sette anni ad Appiano assieme alla fidanzata e collega Petra Zublasing: «È una delle migliori del mondo, lo dimostrerà con i risultati»


di Daniele Magagnin


BOLZANO. Che strana la vita. Spesso a decidere il destino è un colpo un solo colpo. Sport metafora della vita: a “un colpo” basta aggiungere “di fortuna” o di “sfortuna” per rendere l’idea. Otto anni fa, Niccolò Campriani, classe ‘87, giovane studente d’ingegneria fiorentino, miglior tiratore “in piedi” del ranking mondiale nel giorno più importante della sua vita, a Pechino già assaporava la gioia di stringere tra le mani e i denti l’oro olimpico e coronare il sogno della vita. Mancava poco, pochissimo. Come scrive nel suo libro “Ricordati di dimenticare la paura”, scoprì in quel momento di avere un avversario imprevisto e imbattibile: l’ultimo colpo, quello determinante. Il “blocco dell’ultimo colpo” lo ha portato a compiere scelte di vita importanti, raccontate a “cuore aperto”, con quel suo modo di fare spontaneo e gentile.

Campriani, oro e argento olimpico a Londra, due ori alle Olimpiadi di Rio de Janeiro (carabina 50 metri tre posizioni e carabina ad aria 10 metri), ospite nella redazione del nostro giornale, ha raccontato la sua storia di vita, incalzato dalle domande di Alberto Faustini, direttore responsabile di Alto Adige e Trentino, e del caposervizio sport, Valentino Beccari, con diretta Facebook. Niccolò è un altoatesino d’adozione, non solo perché da sette anni è il fidanzato di Petra Zublasing, rimasta per “un colpo” ai piedi del podio brasiliano, ma anche perché ad Appiano c’è il poligono di tiro più funzionale d’Italia. Perse le Olimpiadi 2008, Niccolò fece una scelta importante: «Nel 2009, con Petra, mi sono trasferito negli Stati Uniti. Quattro anni, fino alla laurea in ingegneria manageriale all’Università di Morgantown (West Virginia), poi il master in ingegneria dello sport a Sheffield e, da due anni e mezzo, vivo ad Appiano. Qui c’è l’unico poligono al coperto da 50 metri e mi posso allenare tutto l’anno».

«Mi sono rifugiato in America ad intraprendere un viaggio dentro me stesso, alle origini dell’ambizione, alle radici, tra i sogni di gloria ed gli equivoci imposti dal nostro Paese, che non sa vincere, ma neppure perdere e dove non si riesce a conciliare sport e scuola». Un “cervello in fuga” per riflettere e scoprire che «tra il mirino e il bersaglio non c’è solo aria e distanza, ma anche paura e in quel momento, in mezzo a tanti pensieri, devi aggrapparti a quello più positivo».

Niccolò ha lottato tanto per sconfiggere la paura: «Paura di fallire e di deludere se stessi e gli altri, paura di dover fare i conti con la sconfitta, accettare i propri limiti non per superarli, ma per provare a spostarli un po’ più in là». Il “ragazzo d’oro” (in tutti i sensi) prima di arrivare a Londra ha dovuto ritrovare la sua strada di uomo, prima che di sportivo. Ha sconfitto la paura e, prendendo spunto dal chi gli chiedeva dopo il successo e l’argento ai Giochi britannici “Cos’è che fa di un atleta un campione?”, lui ha sempre risposto: «Non lo so. Però posso dire con certezza cosa fa di un atleta un uomo felice», ovvero la seconda parte del titolo della biografia. Il dopo il doppio successo brasiliano nasce quindi da un lungo percorso, con Petra accanto: «Petra è una parte importante della mia vita. Oggi è rimasta in campagna, a curare i grappoli d’uva, ripulendoli dagli acini non buoni. Anch’io quando ho tempo lo faccio e mi piace anche vendemmiare. Petra mi è stata vicina sempre, anche nei momenti più difficili e io ho cercato di fare altrettanto: con il nuovo regolamento, quello che ho contestato, io avrei perso una medaglia e lei l’avrebbe vinta. Comunque vi dico che Petra Zublasing è una delle migliori al mondo e lo dimostrerà con i risultati».

L’Olimpiade ti segna la vita: “Non è facile l’approccio con i Giochi. Un’Olimpiade andata male ti segna la vita, è una cicatrice che ti resta. Possiamo capire crisi di panico o, sfoghi a fine carriera, come quello della Cagnotto che auspica di riprendersi la sua vita dopo aver dato tutto allo sport. Dietro ci sono sofferenze, che sono maggiori rispetto alle gioie. Nella gara ad aria compressa, il primo oro a Rio, è stata un’esperienza violenta: non è da me una reazione come quella avuta, ma quando scarichi l’adrenalina e l’emozione è inevitabile».

All’orizzonte ci sono delle risposte da dare a delle domande precise e importanti: “Cosa farò da grande? Entro l’anno la risposta, la vita è una sola e bisogna decidere se posso continuare su questa strada o se il mio posto è in un altro ruolo, il manager di altro livello comporta stress. Nella nostra carriera apprendi competenze che puoi trasferire nella vita professionale con successo, in America è ancora più accentuato e considerato l’essere stato atleta di livello, sei considerato maggiormente perché sono consapevoli che hai imparato a metterti in gioco, che conosci il problem solving, che hai dimestichezza con metodi e sistemi di lavoro eccetera. Hai più possibilità. In Italia devi nasconderlo in alcuni casi, perché pensano tu sia stato a giocare e a divertirti – conclude Niccolò – Tra tre-quattro mesi deciderò cosa fare».

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