«Dalla C alla Serie A1 il Neruda per me è stato una seconda casa» 

Volley. Parla la schiacciatrice di Vadena: smise dopo l’esperienza nel massimo campionato, tornò per la B2, ma a febbraio è diventata mamma: «Adesso sono abbastanza impegnata»


MATTEO IGINI


TRENTO. Dal minivolley fino alla serie A1. Sempre con la stessa maglia. Quella del Neruda. Kathrin Waldthaler ha scalato la montagna del volley italiano, partendo dalla base, la Serie C, fino a raggiungere la vetta, ovvero un posto nel massimo campionato del 2015/2016, conquistato grazie alla splendida vittoria della Serie A2 nella stagione precedente. La schiacciatrice di Vadena, classe 1990, dopo l’esperienza in A1 si è fermata per motivi personali, ma nel 2018/2019 è tornata in campo, in B2. Con quale divisa? Quella del Neruda, ovviamente. In questa stagione, invece, non ha giocato, perché a febbraio è diventata mamma di un bimbo.

«Dopo la serie A1, sono stata ferma due anni, ma evidentemente non avevo ancora chiuso con il volley. Sono stata cercata dal Neruda e sono stata contenta di aver fatto anche questa esperienza in B2», spiega Kathrin.

Con la maternità, sportivamente si è fermata di nuovo, ma la rivedremo in campo in futuro?

«Diciamo che al momento sono abbastanza impegnata (ride, ndr). Poi mai dire mai, anche se al momento lo escludo e penso che difficilmente un giorno possa riprendere. Però resta un'esperienza che rifarei sempre, nonostante i tanti sacrifici. Per me la pallavolo ha sempre avuto un ruolo importante, le ho dedicato gran parte della mia vita e mi ha accompagnato per oltre 20 anni».

Il ritorno in campo nel 2018, invece, come è stato? Dopo un girone d'andata sottotono nella seconda metà del campionato avevate cambiato marcia, finendo addirittura quarte...

«A livello personale ci ho messo un po’ a ritrovare la forma. Eravamo una squadra molto giovane e, per come è andata, siamo state molto contente. Io ho cercato di dare il mio contributo, portando un po' di esperienza all'interno del gruppo».

Nella sua carriera ha indossato una sola maglia: quella del Neruda. Quando è iniziata la sua avventura?

«Sì, ho sempre giocato con il Neruda, iniziando quando frequentavo la seconda elementare, a sette anni».

Come si è avvicinata alla pallavolo?

«Tramite un’amica, che giocava a volley. Poi, sono figlia unica e mia madre voleva che facessi uno sport di squadra. Da quel giorno non ho più smesso».

E dal minivolley è arrivata fino alla A1... Che esperienza è stata quella vissuta nel massimo campionato?

«È stata sicuramente bella, anche perché mai avrei immaginato un giorno di giocare in A1. Invece, anno dopo anno, quel sogno si avvicinava sempre di più e l'ho anche vissuto con la società in cui sono cresciuta. Questo ha reso tutto ancora più affascinante. Con il Neruda ho sempre avuto un legame particolare e per me questa società è stata come una seconda casa».

Qual è il ricordo più bello legato a questa maglia?

«Il ricordo più bello? Devo pensarci un attimo, perché sono stati veramente tanti. La vittoria del campionato di A2 e della Coppa mi hanno regalato le sensazioni più forti, ma anche gli anni in B1 sono stati molto belli. Eravamo proprio una grande squadra, molto unita».

In tutti quegli anni di Neruda è stata sempre tra le grandi protagoniste in campo, soprattutto in B, ma è stata importante anche in A2 ed è arrivata a esordire in A1. Qual è stata la chiave per la sua scalata dalla C fino alla A?

«Tanto allenamento, tanta voglia di fare e passione. Questa è l’unica spiegazione. Non mi sarei mai aspettata di raggiungere certi livelli, però bisogna lavorare e crederci sempre. Ovviamente in A1 e A2 ho avuto meno spazio rispetto agli anni in B, ma ne ho comunque trovato e sono soddisfatta».

In A1 come è andata?

«Ho fatto il primo anno di A1 del Neruda e sono riuscita a esordire nel massimo campionato».

Si ricorda quel debutto?

«Se devo essere sincera no, ma sicuramente sarò stata molto agitata, perché non capita tutti i giorni di giocare in A1. In quei casi, comunque, è meglio non farsi trasportare dalle emozioni, che ovviamente sono molto forti, ma è meglio che ci si concentri solo sulla partita».

Tra A1 e A2, al di là della rete ha incontrato tante avversarie di valore. È rimasta impressionata da qualche giocatrice in particolare?

«Ne ho affrontate tante e forse non è così facile rispondere a questa domanda. Però mi ricordo che quando abbiamo affrontato il Club Italia, in A2, in campo con le azzurrine c’era una certa Paola Egonu. All’epoca era ancora una giovane promessa, ma si vedeva già allora che aveva numeri impressionanti. E in effetti ha raggiunto livelli incredibili e ora è un punto di riferimento della nazionale».

C'è una persona che è stata particolarmente importante nella sua carriera?

«Sì, i miei genitori, che hanno sempre creduto in me e mi hanno sostenuta in ogni momento. Mi portavano ogni volta ad allenamento, aspettandomi fuori dalla palestra per non so quante ore. Hanno fatto tanti sacrifici».

©RIPRODUZIONE RISERVATA















Altre notizie

Attualità