E così l’oro si trasforma in bronzo 

La Mölgg, 1ª nella prima manche, illude e poi chiude 8ª ma salva l’onore la Brignone, terza


di Marco Marangoni


PYEONGCHANG (Corea del Sud). “Fede” e “Manu”, i due volti delle lacrime azzurre. Le lacrime di gioia di Federica Brignone, straordinario bronzo olimpico in slalom gigante; le lacrime di profonda delusione per una nuova incompiuta di Manuela Mölgg. Peccato, perché l’altoatesina era al comando dopo la prima manche, con un vantaggio risicato, appena venti centesimi, che nello sci non consentono di cullare sogni di gloria. Alle sue spalle a soffiare sull’oro c’era una illustre pretendente con un palmares nobile, la statunitense Mikaela Shiffrin. Ed è stata proprio lei, con una delle sue strepitose discese, a cogliere il suo secondo oro a cinque cerchi, il primo in gigante dopo quello in slalom nel 2014 a Sochi. L’altoatesina ha chiuso amaramente ottava dopo una seconda manche incolore, alla camomilla quando, invece, avrebbe dovuto attaccare e mollare tutto. La sciatrice badiota ha pagato la tensione di ritrovarsi prima in una gara olimpica e ha trovato ancora una volta difficoltà a sciare su un tracciato segnato.

Eccezionale invece Federica che, terza dopo la prima mabche, ha confermato le sue grandi doti tecniche e di scorrevolezza, oltre a saper gestire le emozioni. Ha sciato bene, solida, qualche sbavatura l’ha commessa ma ha trovato il ritmo su una pista apparentemente facile ma con insidie: la parte alta del muro e la parte conclusiva con quel dosso dove serviva imbroccare la linea migliore, erano i passaggi chiave. La 27enne aostana, figlia d’arte - mamma Maria Rosa Quario è stata un’ex campionessa che però non ha mai centrato una medaglia olimpica, e papà Daniele è maestro di sci - non ha deluso dopo aver mostrato ottime cose nel corso della stagione che l’ha vista salire quattro volte sul podio in Coppa del mondo.

La Brignone ha fatto ritornare l’Italdonne sul podio alle Olimpiadi in una disciplina tecnica dopo ben 20 anni. L’ultima volta risale al 20 febbraio 1998 a Nagano quando l’immensa Deborah Compagnoni vinse l’oro in gigante e l’argento in speciale. Quella conquistata da Federica è stata la quattordicesima medaglia azzurra nello sci alpino femminile ai Giochi. Davanti a lei, sul secondo gradino del podio, medaglia d’argento, la norvegese Ragnhild Mowinckel. A completare l’elenco delle azzurre, il quinto posto (confermato dalla prima manche) di Marta Bassino e, detto della Mölgg ottava, l’undicesimo di Sofia Goggia.

La gara sulle nevi di YongPyong è stata entusiasmante nella prima parte con tutte e quattro le italiane nelle dieci, anche favorite dalla tracciatura del loro tecnico Rulfi. Poi nella seconda la Goggia ha commesso una «goggiata» (come dirà lei alla fine), Marta Bassino, quinta, fa il suo compitino ma non si migliora. In mezzo alle azzurre, appunto, la norvegese Ragnhild Mowinckel. La Brignone prima perde e poi recupera sulla scandinava per finirle alle spalle di soli sette centesimi. Su ci sono ancora Shiffrin e Mölgg. La prima domina, la seconda fallisce.

«Riportare una medaglia all'Italia dopo 20 anni per me è un sogno come quello di aver vinto una medaglia olimpica - ha detto raggiante la Brignone -. È un onore rappresentare l’Italia. Sono veramente felice perché non è così scontato ottenerla. In questo sport infatti conta tantissimo la pressione. Tra le due manche ho tifato per i discesisti, peccato per Paris, però mi è servito staccare e togliere un po’ d’ansia. Anche se so di non aver sciato al massimo sono comunque felice. Dedico questa medaglia anche a me stessa, non l’ho mai fatto».

Più di una semplice lacrima, invece, per Manu Mölgg in quella che potrebbe essere stata una delle sue ultime gare della carriera. Poche le sue parole, ma significative: «Volevo chiudere in gloria... Non ho perso una sola stagione, non ho avuto infortuni gravi...». Ovvero l’amarezza, nella razionalità di un’analisi ineccepibile.

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