Il napoletano più “odiato” da Maradona 

Boxe. Medaglia d’oro nei pesi superleggeri alle Olimpiadi di Mosca ’80 Vinse anche il titolo mondiale WBA battendo l’argentino Ubaldo Sacco grande amico de “El Pibe de Oro”: «Diego si arrabbiò davvero molto ma  la festa per il titolo fu in occasione di Napoli-Roma e ci fu il chiarimento»


MARCO MARANGONI


Bolzano. Dalla povertà al titolo mondiale passando per l’oro olimpico. Dal dilettantismo al professionismo, da semplice ragazzo cresciuto nella miseria fino a diventare cantante, attore e persino pattinatore su ghiaccio. Lui, lo ‘Sparviero’ della boxe italiana che da bambino sognava tutte le notti di diventare campione olimpico e mondiale, è Patrizio Oliva da Poggioreale, oro a cinque cerchi a Mosca nel 1980 nei pesi superleggeri.

Quel giorno di mezza estate fu una festa per il pugile napoletano e per tutto lo sport azzurro: la grande boxe italiana era ritornata all’oro a cinque cerchi dopo 16 anni (gli ultimi furono Atzori e Pinto a Tokyo ’64).

Un trionfo per Oliva dal sapore della rivincita in quell’immenso Olympiysky Sports Complex della capitale sovietica sotto gli occhi di 40.000 russi, oggi struttura multifunzione tra mercato dell’usato, palestre e campi da tennis indoor a ridosso della più grande moschea d’Europa.

Prima di raccontare quella storica impresa e la sua gloriosa carriera, l’ex pugile napoletano vuole fare una fotografia di oggi del pugilato italiano.

«Purtroppo in Italia dal 2001 non si è iniziato a capire nulla e il pugilato professionistico è morto ‘grazie’ ad una federazione che insegue solo medaglie. La mia è una critica costruttiva ma più volte ho lanciato l’allarme»

Effettivamente si parla di pugilato solo ogni quattro anni alle Olimpiadi: perché questo crollo di interesse per il pugilato?

«Con me la boxe dopo Mosca ha avuto un ritorno di immagine, i miei match erano seguiti in televisione da 10-12 milioni di spettatori. Pongo una domanda: che interesse hanno oggi le televisioni, i giornali e sponsor a seguire il pugilato? In Italia c’è una politica sbagliata, ecco perché parlo di sport morto. Peccato perché la boxe piace, i praticanti ci sono ma dal 2012 il pugilato azzurro non porta medaglie. Non c’è ricambio colpa di una politica sbagliata a partire da come selezionare i pugili».

La boxe sta vivendo un periodo difficile, la federazione mondiale AIBA è attualmente commissariata dal Comitato Olimpico Internazionale, è sempre latente la discussione dilettantismo e professionismo ai Giochi, qual è il suo punto di vista?

«Dilettantismo e professionismo sono mondi completamente diversi a partire dalla durata dell’incontro e dalla preparazione. I dilettanti, quindi da Olimpiadi fino a gare rionali, combattono su tre round con caschetto e maglietta, i professionisti senza caschetto e a torso nudo con round da 6 a 12 (una volta erano 15) – spiega l’ex grande campione al nostro giornale –. Vi immaginate cosa succede se alle Olimpiadi arrivasse un pugile come Tyson e affronta un giovane? Nella boxe il punto fondamentale sono le giurie. Dico che vicino ad ogni arbitro ci dovrebbe essere un poliziotto della FBI per evitare favoritismi. Ho visto tanti match con verdetti palesi, con vittorie nette e poi rivoltati nel verdetto»

Riavvolgendo il nastro di quasi 40 anni, cosa ricorda di quel favoloso 2 agosto del 1980?

«Davvero una favola e spiego il perché. Le Olimpiadi di Mosca per noi pugili sono state molto difficili perché, tranne gli Stati Uniti assenti per boicottaggio, le grandi Nazioni da Cuba all’Unione Sovietica erano tutte presenti. Arrivavo ai Giochi dal verdetto scandaloso degli Europei di Colonia dell’anno prima. Avevo dominato la finale ma una giuria proprio ignominiosa diede la vittoria al sovietico Serik Konakbaev. Dovettero sospendere la premiazione, l’inno sovietico venne coperto dai fischi, il pubblico mi diede quella grande soddisfazione che meritavo. Da quel giorno è nata la sfida: il destino volle che mi ritrovai nella finale olimpica contro Konakbaev, il mio più grande avversario, oggi mi grande amico che vive in Kazakistan. Prima della finale dentro me dissi, ‘questa sera non vince il più forte ma chi ha più motivazione e io avevo giurato sul letto di morte di mio fratello Ciro di dedicare a lui la carriera’. Ecco perché parlo di rivincita con la favola: il primo sogno s’era avverato».

Dopo Mosca la sua carriera è cambiata col passaggio al professionismo.

«Il Coni mi chiese di restare dilettante ma ormai avevo già deciso di inseguire il secondo sogno: diventare campione del mondo tra i professionisti. Cammarelle, Russo, Picardi, grandi atleti, hanno preferito di restare nei gruppi sportivi, garantirsi una pensione, hanno accettato lo stipendio, una scelta insindacabile, ma non hanno cullato il sogno».

Il suo titolo mondiale WBA fu oggetto di critica da parte de “El Pibe de Oro” che in quegli anni giocava nel Napoli. Perché?

«Tutto accadde il 15 marzo del 1986, il giorno della mia vittoria allo stadio Luigi II di Montecarlo. Dopo 15 durissime riprese ero riuscito a battere l’argentino Ubaldo Sacco, un grande amico di Maradona. Diego s’arrabbiò perché secondo lui non avevo vinto io. La medaglia mi venne consegnata durante una partita Napoli - Roma proprio da Maradona, un altro fatto del destino».

Vi siete poi chiariti?

«Certo, proprio quel giorno al ‘San Paolo’»

Cosa l’ha spinta a praticare la boxe?

«Come tanti ragazzi di strada che per poter emergere hanno iniziato a praticare lo sport, anch’io arrivavo dalla miseria nera, dalle macerie, dalla povertà, da luoghi segnati dal disagio sociale. Sarò per sempre riconoscente a mio fratello Mario che mi ha portato al pugilato. Innamoramento, passione e motivazioni mi hanno consentito di ottenere risultati molto importanti – dice Oliva, la cui carriera venne segnata dall’osteoporosi alla mano destra che gli provocava fitte lancinanti ad ogni colpo –. Durante la mia carriera mi sono ispirato a due grandi, Mohammed Ali e Nino Benvenuti perché di loro mi piaceva il modo di combattere».

Cosa fa oggi Patrizio Oliva?

«La boxe mi ha dato tanto, mi ha reso famoso, mi ha insegnato a lottare nella vita, quando suona il gong sei solo contro il tuo avversario. Oggi mi dedico assieme a Diego Occhiuzzi (campione olimpico di scherma, ndr) all’Associazione Milleculure di Napoli. È una palestra multisport che ha come obiettivo tenere lontani i bambini dalla strada e dalle cattive compagnie».













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