Calcio

L’addio di Alessandro Campo: «Ormai ero privo di motivazioni»

Ritiro a sorpresa per quello che per sette stagioni è stato il bomber e l’uomo immagine dell’Fc Alto Adige


di Andrea Anselmi


BOLZANO. Ha la voce rotta dall’emozione, mentre spiega – a fatica, con malcelata sofferenza ma anche con un certo sollievo – i motivi della decisione presa. «Non potevo mancare di rispetto a quella che è stata la passione della mia vita, sin dall’età di cinque anni. Amo troppo il calcio. Non potevo mentire. A me stesso ma anche a quel pallone al quale sono corso dietro per tante partite. Tutte bellissime, perché sempre accompagnate da un’emozione forte, unica. Ecco, quell’emozione di scendere in campo, di sentire il profumo dell’erba, di guardare il pallone con la felicità di un bambino a cui viene donato il regalo più desiderato, non l’avevo più. Proseguire non avrebbe avuto senso. Per me. E per nessun’altro».

All’età di 32 anni, Alessandro Campo lascia il calcio giocato dopo aver collezionato qualcosa come 257 presenze (con 33 gol) fra i professionisti. È cresciuto nel Torino, col quale ha giocato in serie A e B. Ha vinto i playoff di C1 col Cittadella (e col bolzanino Jaochim Degasperi come compagno di squadra).

È stato fuoriclasse, capitano, calciatore simbolo, top-scorer, uomo immagine e idolo dei tifosi (e delle tifose) dell’Fc Alto Adige, col quale ha festeggiato la promozione dalla C2 alla C1 e in forza al quale è rimasto per sette stagioni consecutive, deliziando la platea del Druso con il suo educatissimo piede mancino e con le sue memorabili punizioni. I suoi “arcobaleni” su calcio piazzato sono stati celebri a Bolzano quanto la “foglia morta” di Mariolino Corso o la “maledetta” di Andrea Pirlo. Trequartista e mezz’ala, con lui la fantasia è stata sempre al potere. Verso i 30 anni ha iniziato a fare l’attaccante vero: 12 gol più 13 assist nella stagione 2012-2013, quella in cui l’Fc Alto Adige si è qualificato per la prima volta ai playoff-promozione in serie B.

Siamo ai ricordi, con Alessandro, perché sulla sua carriera di calciatore hanno iniziato a scorrere da ieri i titoli di coda. Forse prematuramente. «Per come stavo fisicamente, sarei andato avanti altri tre-quattro anni. Di testa, invece, ero al capolinea. Zero voglia, zero motivazioni. Mi pesava farmi la borsa, andare al campo, mettermi gli scarpini. Sensazioni – spiacevoli – che avevo già iniziato a provare a fine stagione scorsa. Ma in quel momento c’era un campionato da vincere con la Virtus e allora ho messo davanti a tutto il bene della squadra e il rispetto dovuto a chi mi aveva dato una nuova chance professionale, dopo il mio addio all’Fc Alto Adige. Alla Virtus, e soprattutto a Roberto Zanin, ero, sono e sarò sempre riconoscente. Per questo motivo sono andato in ritiro con la squadra per preparare il prossimo campionato di serie D. Ma dopo due giorni mi sono fermato e ho detto basta. Non volevo prendere in giro niente e nessuno. Me stesso, la società che mi avrebbe pagato, ma anche la passione di una vita intera: il calcio».

Tanti ricordi, fra i quali spiccano «i miei anni al Toro, da cuore granata, quelli a Cittadella, culminati con la promozione in serie B, e i sette anni all’Fc Alto Adige, dove mi sono sentito un calciatore importante, amato e rispettato, considerato e apprezzato, anche come uomo».

Alessandro lascia il calcio con tante gioie e un solo rimpianto: «Se avessi avuto un carattere un po’ più forte, forse meno sensibile e genuino e magari più calcolatore, qualche stagione in serie B e forse in A l’avrei fatta».

Il futuro è già delineato: «Resto a Bolzano, che è diventata la mia città. Qui ho messo su famiglia con mia moglie Giulia, diventando papà. Qui ho iniziato a crearmi un’altra strada professionale. Sono agente di commercio per la Folletto. Un lavoro che mi piace, ma vorrei rimanere nel calcio. Allenatore? No, meglio direttore sportivo».

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