Quando un secolo fa nella marcia dominavano due giovani milanesi

Bolzano. L’ultima è datata 21 agosto del 2016, l’argento della pallavolo maschile a Rio de Janeiro, la prima 29 maggio del 1900, l’oro del conte Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro nell’equitazione...



Bolzano. L’ultima è datata 21 agosto del 2016, l’argento della pallavolo maschile a Rio de Janeiro, la prima 29 maggio del 1900, l’oro del conte Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro nell’equitazione a Parigi. In mezzo 580 medaglie, quasi un terzo di esse d’oro (207), ma soprattutto leggendarie e indimenticabili imprese, momenti gloriosi, magici ma anche brutti e drammatici. Tornando indietro di oltre un secolo si entra nella cerchia dei pionieri, di figure che non erano solo sportivi ma nella vita di tutti i giorni facevano anche dell’altro.

Nell’atletica leggera ci sono due figure che hanno scritto importanti ed indelebili pagine di storia. Con il doveroso ricordo rivolto ad Emilio Lunghi, prima medaglia azzurra olimpica nella “Regina degli sport”, argento negli 800 metri a Londra nel 1908, sinistre per la commovente storia di Dorando Pietri, oro sul campo nella maratona ma poi squalificato perché sorretto dai giudici nell’ultimo giro di pista all’interno del White City Stadium, vanno annoverati i marciatori Fernando Altimani e Ugo Frigerio. Quest’ultimo, doppio oro olimpico ai Giochi di Anversa nel 1920 a soli 18 anni, è stato due volte alfiere alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, nel 1924 a Parigi e nel 1932 a Los Angeles. Nella storia il bis lo fecero anche lo schermidore Edoardo Mangiarotti, lo sciatore Gustav Thöni e lo slittinista Paul Hildgartner.

Fernando Altimani

Nato alla vigilia di Sant’ Ambrogio del 1893, Altimani oggi va considerato il padre della nobile marcia italiana e l’iniziatore di una delle più solide tradizioni dell’atletica nostrana. Toccò al milanese da dar l’avvio ad una collezione che assomiglia ad un tesoro. Quel giorno fu l’11 luglio del 1912 a Stoccolma su una delle distanze, la 10 chilometri, in disuso dopo l’edizione di Helsinki ‘52. In una delle rare immagini ereditate da quel tempo assai lontano si vede “Nando” con il capo coperto da un fazzoletto come se dovesse partecipare ad una scampagnata. La gara venne lanciata sin dallo sparo su ritmi elevati: tre furono costretti al ritiro, altrettanti incorsero nella severità dei giudici. Fernando tenne a bada il danese Rasmussen e si assicurò il podio, terzo dietro al canadese Goulding e al 40enne britannico Webb. Altimani alla fine della carriera collezionò anche quattro titoli italiani e prestazioni cronometriche che ancor oggi sarebbero competitive (21’32 sui 5 km e 44’34 sui 10).

La sua società d’origine era l’Unione Sportivo Milanese, la stessa che qualche anno dopo sarebbe diventata casa di un altro meneghino purosangue, Ugo Frigerio, primo campione olimpico nella storia non solo della marcia ma di tutta l’atletica italiana che quando vinceva alzava le braccia e gridava «Viva l’Italia !».

Ugo Frigerio

Fino a qualche mese prima di centrare la doppietta 3 e 10 km ai Giochi in terra belga, Frigerio lavorava come tipografo presso la Gazzetta dello Sport. Passando nei pressi di Parco Sempione era rimasto affascinato dalla marcia: camminata faticosa ed armonica progressione di passi. Il raggiungimento del massimo sforzo, restando sempre a contatto con la terra (oggi c’è troppa sospensione nel gesto tecnico), gli era immediatamente parso una metafora della vita, un viaggio da intraprendere e glorificare.

Dopo alcuni mesi di allenamento, appena maggiorenne, era riuscito a conquistare il titolo nazionale. «Sono un autentico milanese della città di Sant’Ambrogio. La città che fu culla e roccaforte degli Sforza e dei Visconti. E per essere più esatto dirò anche che venni al mondo nella cara e bella Milano il 16 settembre dell’anno 1901. Mio padre, Enrico, e Giuseppina Gussetti mia madre erano fruttivendoli a domicilio, e tenevano negozio in via Tivoli». Come narrano le cronache dell’epoca, Ugo si presentava così.

Il milanese aizzava la folla con gesti ampi durante la marcia, richiamava a gran voce l’incitamento degli spettatori, ma non solo. Urlava sprezzantemente ai giudici, chiedendo di valutare la sua andatura, forse per ricevere conferme d’idoneità, chissà forse per vantarsi del suo stile eccezionale.

Benito Mussolini fu firmatario dell’introduzione della sua autobiografia dal titolo “Marciando per l’Italia”.

Quel «Viva l’Italia!» assunse negli anni un altro significato, divenne dichiarazione di superiorità italiana e obbligò il milanese a stringersi al fianco del regime. La macchina propagandistica fascista inglobò rapidamente Frigerio nei propri ingranaggi.

Oltre ai due ori del 1920, il “Fanciullo d’Anversa” si confermò anche nel 1924, nei 10 km, unica gara degli specialisti del tacco-punta presente nell’edizione a cinque cerchi parigina.

Frigerio dopo il terzo oro olimpico varcò l’Atlantico, trovando palazzetti gremiti in ogni ordine di posto, ansiosi di veder esprimere il più grande marciatore del mondo in tutta la sua eleganza, in tutta la sua aerodinamica gestualità.

Osservato dal pubblico a stelle e strisce e da tantissimi italiani salpati in cerca di fortuna, Frigerio stabilì sei record mondiali al coperto. Ritornò nel Vecchio Continente per preparare al meglio l’Olimpiade della sua definitiva consacrazione, quella di Amsterdam. La decisione del Comitato Olimpico Internazionale decise, però, di non prevedere prove di marcia ai Giochi olandesi e per il leggendario marciatore fu una pesante scoppola da digerire. La messa al bando della marcia cancellò il terzo capitolo di una leggenda destinata a rimanere incompiuta: Ugo decise di ritirarsi a 27 anni. Tornò a sorpresa a marciare una volta venuto a conoscenza della riammissione della marcia – ma solo la massacrante 50 km – tra gli sport olimpici per l’edizione di Los Angeles ‘32. Da “Fanciullo” a “Uomo di Aversa”, Frigerio all’interno del Memorial Coliseum della metropoli californiana sfilò col tricolore. Quasi trentaduenne, Ugo venne individuato come lepre da tirare nei primi chilometri ma il suo orgoglio, la sua voglia di riscattarsi da quell’edizione un po’ “boicottata”, lo portò a mettersi il bronzo al collo. Dopo il definitivo ritiro, il campionissimo della marcia iniziò la carriera imprenditoriale nel settore caseario prima di morire a 67 anni a Garda. Oggi Frigerio è ricordato nel quartiere Baggio a Milano con la denominazione di una via e soprattutto con il prestigioso circuito di marcia giovanile giunto alla 50esima edizione.

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