«Sarebbe bello un team di giocatrici altoatesine capace di competere» 

Volley. La palleggiatrice, nelle ultime due stagioni al Volano (serie B1), ripercorre la sua carriera


Matteo Igini


Bolzano. Con la regia di Camilla Giora, il gioco è in buone mani. Lo sanno anche in Friuli, dove ha passato quattro stagioni tra Martignacco e Talmassons, e in Trentino, dove in questi ultimi due anni, sempre in B1, è stata la palleggiatrice del Volano, con cui era in lotta per la promozione e i playoff prima dello stop per il coronavirus. Classe 1992, la regista bolzanina ha giocato giovanissima in B2 nel 2007/2008, con il San Giacomo, e ha debuttato in A2 con il Neruda nel 2013/2014, prima del trasferimento in Friuli dove è diventata grande protagonista in B1. Nel frattempo, si è laureata in podologia alla Claudiana e qualche anno dopo è tornata a Bolzano, aprendo anche il suo studio a Laives. Durante il lockdown ha lavorato solo per le emergenze, mentre dal 4 maggio l’attività è ripartita a pieno regime.

Come ha passato il periodo di emergenza sanitaria?

«È stata durissima perché, tra sport e lavoro, sono sempre stata abituata ad avere la giornata completamente impegnata. Però non ho mai perso la speranza che si potesse tornare alla normalità. In questo periodo sono riuscita a ritagliare del tempo da dedicare alla lettura, cosa che mi mancava molto».

A Volano, al momento dell'interruzione, eravate in piena lotta per le posizione di vertice.

«Sì e la fine di questa stagione è stata brusca, ci ha lasciato con l'amaro in bocca. Soprattutto nella prima parte del campionato siamo andate forte, poi abbiamo vissuto un periodo complicato a causa di alcuni infortuni, però eravamo in lotta per arrivare ai playoff. Ho 28 anni, non avrò ancora tantissimi campionati davanti, e ci tenevo a concludere in bellezza questi due anni a Volano con una promozione o una partecipazione ai playoff, ma era quasi impossibile proseguire questa stagione, non era il caso di mettere a rischio la salute».

Sta già pensando a quale sarà il suo futuro sportivo?

«Al momento sto valutando. Una B1 è un impegno molto grande e farla così lontano da casa non è semplice, ma - per giocare in categoria - spesso noi altoatesine siamo costrette ad andare fuori provincia».

Immaginiamo i sacrifici...

«Sono sempre stata abituata a farne. Ho sempre conciliato sport e studio o lavoro. Quando ero in Friuli collaboravo con uno studio, poi da quando sono tornata a casa ne ho aperto uno mio ed è cambiato il mondo. Ora ho molte più responsabilità».

Come è stato il suo percorso di studi?

«Ho studiato alla Claudiana a Bolzano. Nel periodo in cui dovevo preparare la tesi ho deciso che era arrivato il momento di fare un'esperienza fuori regione. Mi sono trasferita in Friuli, ho giocato nel Martignacco, mi sono laureata a Bolzano nel novembre del 2014 e dopo qualche mese ho iniziato a collaborare con uno studio friulano».

Come è andata in Friuli?

«Ho passato due anni nel Martignacco e altrettanti nel Talmassons. In queste quattro stagioni in B1 ho giocato titolare. Sono arrivata dopo l'esperienza positiva con il Neruda in A2, dove però ero una riserva. Volevo esprimermi sul campo e avevo bisogno di sentirmi protagonista. In Friuli mi hanno dato questa possibilità e sono stati quattro anni bellissimi. Ho fatto i playoff ed è stata un'esperienza veramente importante, sia sotto l'aspetto sportivo che lavorativo».

Ha anche lottato per la promozione in A2...

«Sì, è stato un crescendo, con l'asticella che si alzava sempre più, soprattutto a Talmassons, dove - per due anni di fila - siamo arrivate ai playoff. Ho avuto la fortuna di giocare in B1 a un livello alto e infatti, nelle stagioni successive, sia Martignacco che Talmassons sono saliti in A2».

Poi ha sentito la necessità di tornare a Bolzano?

«Sì. Sono molto legata all'Alto Adige, per la mia famiglia, ma anche al territorio stesso. L'idea era quella di rimettere le radici a Bolzano. Ho trovato l'accordo con Volano e così sono riuscita ancora una volta ad abbinare lo sport e il lavoro. Mi sono trovata molto bene a Volano e ci siamo anche tolte diverse soddisfazioni».

In campo nazionale è stata lanciata dal San Giacomo, in B2. Che ricordi ha di quell'esperienza?

«Ero piccolissima. A livello di risultati era andata malissimo, però personalmente è stata un'emozione veramente grande. Ero giovane, ma orgogliosa di fare parte di quel gruppo».

In quel San Giacomo c'era anche Raphaela Folie, anche lei giovanissima.

«Sappiamo tutti cosa ha fatto nella sua carriera. Aver potuto alzarle i palloni è stato un grande orgoglio».

Quando ha iniziato a giocare a pallavolo?

«Ho iniziato a giocare presto, quando avevo 8 anni. Come sempre sono le amiche che ti spingono a iniziare. Prima abbiamo praticato nuoto e poi abbiamo deciso di buttarci sulla pallavolo, uno sport che non ho più lasciato».

Con quale società ha iniziato?

«Con lo SC Bolzano. Poi ho avuto una parentesi al Neugries e ho ancora delle amiche legate a quell'esperienza. Ho giocato nel San Giacomo, che in seguito si è unito al Neruda. Ho fatto anche la B1 a Trento, con la Trentino Rosa, e poi c'è stata l'annata speciale in A2 a Bolzano con il Neruda (nel 2013/2014, chiusa con un ottavo posto, ndr). Nonostante non fossi direttamente protagonista in campo, ero orgogliosa di giocare in una categoria così importante con una squadra altoatesina. È stato qualcosa di straordinario, poi quel gruppo era formato da ragazze fantastiche, che porto ancora nel cuore. Nella stagione successiva, invece, ho deciso di cambiare perché avevo bisogno di giocare da titolare e mi sono trasferita in Friuli».

Nel suo percorso c'è stato qualcuno che ha avuto un ruolo importante?

«Sarà scontato dirlo, ma sicuramente i miei genitori. Non mi hanno mai ostacolato, anzi, mi hanno sempre lasciato decidere il percorso in autonomia. Poi, devo menzionare una giocatrice che per me ha fatto la storia della pallavolo nella nostra regione, ovvero Irene Plaickner. Ho giocato con lei nel San Giacomo e nel Neruda e ha sempre creduto in me. Per me è un idolo. Poi devo ringraziare anche Giacomo Guarienti, Renza Espen e Luca Pieragnoli. Sono stati loro a cambiare il mio ruolo e da schiacciatrice sono diventata palleggiatrice. Da lì è partito tutto».

Cosa rappresenta per lei il volley?

«È la mia valvola di sfogo. Mi diverte, mi fa stare bene, riempie molti dei miei pensieri. E poi mi ha fatto conoscere tante persone straordinarie che fanno ancora parte della mia vita».

Ci potrebbe schierare il suo personale sestetto?

«Preferirei fare una sorta di appello. Mi piacerebbe che le società dell'Alto Adige unissero le forze per formare una squadra che possa sostenere una B1 o anche un A2 mettendo assieme solo giocatrici altoatesine. Ce ne sono tante che giocano fuori e sarebbe bello che rientrassero per giocare nello stesso gruppo, magari con chi si trova già qui. In questi anni credo sia mancata una soluzione del genere e penso sia un vero peccato».

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