Schumi, i trionfi e poi quel buio 

Trento. «We did it! We did it! We did it!» Ce l’abbiamo fatta.Così, per tre volte, Michael Schumacher aveva gridato ai compagni di scuderia nel 2000, quando, dopo che gli era sfuggito nel 1997, nel...


JACOPO STRAPPARAVA


Trento. «We did it! We did it! We did it!» Ce l’abbiamo fatta.

Così, per tre volte, Michael Schumacher aveva gridato ai compagni di scuderia nel 2000, quando, dopo che gli era sfuggito nel 1997, nel 1998 e nel 1999, vinse il Mondiale di Formula 1 a Suzuka.

Così è iniziato ieri, all’auditorium Santa Chiara, subito dopo l’ora di pranzo, l’appuntamento del Festival dello Sport dedicato al più grande campione che la Ferrari abbia mai avuto. Sul palco, a ricordarlo, ci sono tutti: c’è l’ingegner Piero Ferrari; c’è Stefano Domenicali, oggi capo della Lamborghini; ci sono due ex piloti, Eddie Irvine e Luca Badoer; c’è Sabine Kehm, la giornalista tedesca che di Michael era diventata l’agente. Jean Todt è in collegamento Skype dal Belgio, Mario Binotto telefona proprio da Suzuka, dove si corre oggi.

Invece, nel pubblico, che per la verità non riesce a riempire tutto il teatro, ci sono tifosi, curiosi e giornalisti. Tre ragazzi di Pordenone tra i 23 e i 24 anni hanno fatto tre ore di macchina per esserci. Fanno i meccanici, vestono maglietta e cappellino della casa di Maranello. Ma non sono gli unici, visto che qua e là, in platea, di macchie rosse ce ne sono parecchie.

Sei anni fa, l’incidente

C’è un’ombra amara in tutto questo. Nessuno menziona l’incidente di sei anni fa, sulle piste da sci di Meribel. Tutti parlano di Michael al presente (solo Irvine, in inglese, dice «Michael was», al passato). Ma non c’è amarezza in sala, anzi. Ricordano il carattere di Schumi, determinato, preciso, laborioso. «Un vero tedesco» confermano tutti, «arrivava in pista con gli appunti da casa». «Però non beveva, in questo era poco teutonico» scherza Irvine. Si parla del futuro, di come tenere assieme Sebastian Vettel e Charles Leclerc, l’astro nascente della Formula Uno. Binotto, dal Giappone, commenta: «I piloti sono parte della squadra, la Ferrari viene prima di tutto».

Il video di Leclerc

Alla fine, di Leclerc, proiettano anche un video (registrato). Il campioncino saluta Trento ed è l’apoteosi. Tutti applaudono, più per l’entusiasmo che per lui: si trova in Giappone, il ragazzo, e non può sentirli; ma fa lo stesso. I tre meccanici di Pordenone tirano fuori il cellulare e fanno un video al video.

Poi, verso le tre e venti, la conferenza finisce. Ma proprio mentre ripartono le canzonette di Radio Italia che fanno da jingle al Festival – Una vita da mediano, La leva calcistica della classe 68 e Maracanà di Emis Killa – arriva il momento che tutti stavano aspettando. I tifosi si fiondano sotto il palco, in cerca di un selfie o un autografo. «È l’incontro più bello del Festival» commentano due amici. Chi si fa firmare una bandiera, chi una maglietta, chi l’articolo della Gazzetta che annunciava chissà più quale vittoria e conservato come una reliquia chissà più da quanto. Un signore, venuto apposta in motocicletta da Vicenza, sventola come un trofeo il modellino di una Ferrari del 1999. È riuscito ad avere le firme di Domenicali, di Badoer, di Irvine. «Mio figlio l’ho chiamato Eddie proprio in onore di Eddie Irvine» spiega, indicando il ragazzino che gli sta appresso. «Potevo forse non farglielo vedere?».

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