Ma negli Stati Uniti vince sempre la democrazia



Vince sempre la democrazia, al tavolo della libertà. Anche quando non ci piace. Anche quando pensiamo che ciò che accade negli Stati Uniti sia leggibile con le consuete lenti deformate, che già impediscono a molti di capire ciò che accade in Italia e in Europa. «Ma l’America è lontana - cantava un profeta che risponde al nome di Lucio Dalla –; dall’altra parte della luna». Giova ricordarlo. Persino quando si guarda agli Stati Uniti come a un luogo nel quale le cose accadono prima, nel quale i fenomeni si sperimentano e poi si esportano. Oggi l’America impaurita e orfana di politica - intesa in senso tradizionale - somiglia sempre di più all’Europa. Ma l’America è un Paese complicato: al punto che il popolo sovrano ha dato più voti alla Clinton, ma ha permesso alla strategia di Trump di risultare vincente (com’è successo qualche anno fa, quando Bush vinse pur prendendo meno voti di Al Gore). E non c’è un’unica America. Questo è ciò che è sfuggito a molti osservatori, a tutti i sondaggisti e anche a colei che ha cercato di essere la prima presidente donna: Hillary Clinton, la vera sconfitta di un voto che anche i democratici non hanno saputo interpretare. C’è una differenza sostanziale fra parlare a un popolo di eletti e scaldare un popolo di elettori.
Trump ha certamente giocato con la paura e con il razzismo, ha altrettanto certamente accarezzato quelli che con una semplificazione eccessiva tendiamo tutti a chiamare i mal di pancia di un Paese. Ma ha giocato per vincere. Contro tutti e con toni incredibili. E ha vinto. Inutile, però, azzardare giudizi sul futuro. Trump, ieri, ha già cambiato totalmente registro. E ha cercato di parlare a tutti gli americani, inclusi i tantissimi che da tempo non credono nel peso e nel valore del voto. Perché vincere le elezioni e governare non sono solo cose diverse, ma persino opposte, a volte.













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