Ora l'Itas deve voltar pagina



Considero legittimo che Gianni Di Benedetto voglia restare nella stanza dei bottoni dell’Itas (stavo scrivendo nella stanza dei bottini, ma non è il caso di scherzare su temi così delicati e su un gruppo con un patrimonio vicino ai 400 milioni di euro e con riserve per 3 miliardi). E considero anche normale, soprattutto dal suo punto di vista, che il presidente si proponga come il salvatore della patria. Considero persino ovvio che, cercando di restare in sella, voglia evitare che si commetta un rischio tipicamente italico: quello di fare di tutta l’erba un fascio.
Ma ci sono dei momenti nei quali c’è un’unica soluzione possibile: farsi da parte. Per un bene superiore: che non è mai quello dei singoli, ma sempre quello della società, intesa in tal caso anche come collettività. Il presidente dell’Itas, in proposito, potrebbe farsi raccontare un episodio dall’«amico Delrio», ministro arrivato di recente a benedire gli straordinari successi del gruppo assicurativo: potrebbe chiedergli come mai Matteo Renzi - pur a fronte di una maggioranza che c’è ancora e che è la stessa che sosteneva il suo governo - non sia più presidente del consiglio. Perché Matteo - gli risponderebbe Graziano Delrio - ha capito che dopo una pesante sconfitta non c’è una soluzione diversa da quella del ritiro. Meglio farsi rimpiangere, che sopportare. Meglio essere ricordati per lo stile dell’uscita che per i salti mortali o per la quantità di Attak usata per restare incollati alla poltrona.
Al di là di quanto appurerà la magistratura - alla quale il lavoro sembra non mancare, anche se non sempre ciò che scandalizza si rivela poi un reato - all’Itas non c’è bisogno di una piroetta, ma di una svolta. E di una ripartenza, per dirla con gergo calcistico. Ci sono infatti sentenze che non passano dai tribunali, ma che non hanno certo meno peso per questo. E non si può voltare pagina partendo dalla stessa trama, con la stessa narrazione, con (quasi) gli stessi protagonisti. Ma un politico attento come Di Benedetto, questi ragionamenti li ha certamente già fatti. Prima e dopo l’esplosione della «bomba Grassi».













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