l’intervista

Assalto alle Alpi: «Così snaturiamo la montagna»

Marco Albino Ferrari, uno degli ospiti della rassegna “Libri per le vacanze”, ha presentato a Bolzano il suo lavoro: «Stiamo superando la soglia oltre la quale il bene inizia ad essere male: le megastrutture turistiche sostituiscono le case degli abitanti»


Paolo Campostrini


BOLZANO. La montagna è fragile e spaesata. La prima questione riguarda lei: il clima, le rocce friabili delle Dolomiti, i suoi ecosistemi che arrancano. La seconda, lo spaesamento, riguarda noi: gli uomini sono incerti sull’itinerario che vogliono farle prendere, perché da un lato la vedono come luogo magico e salvifico - ed è troppo poco - dall’altro come tesoro da far fruttare - ed è troppo-, tra turismo di massa, che fa danni, e turismo d’élite, che la snatura.

Ecco lo stato delle Alpi. «Si tratta di modelli di sviluppo del passato - spiega Marco Albino Ferrari - visto che sul piano materiale stiamo riempiendo le montagne di infrastrutture pesanti, mentre dall’altro continuiamo ad idealizzarla, la guardiamo solo per la bellezza. Ma così non la percepiamo come merita». Ferrari ha scritto un libro su tutto questo e anche altro. Si intitola “Assalto alle Alpi” (Einaudi editore).

E già queste tre parole dicono molto sul dove va a parare la sua indagine. Nel senso che mai come in questi ultimi decenni i monti che fanno da corona alla Penisola hanno smesso di starsene un po’ per i fatti loro, ad ospitare pochi uomini e qualche pecora, a non avere troppe strade d’accesso e a vivere come avevano fatto per milioni di anni.

Poi, l’assalto. Iniziato con lo sport, dall’alpinismo - ancora poco invasivo - dei secoli passati, allo sci dei nostri anni. E con lo sci, ecco gli impianti di risalita, le funivie, gli ski-lift. E con il nuovo alpinismo, ecco i rifugi che sembrano venuti su a Manhattan, il cibo portato con l’elicottero, la polenta che cede il passo alle ostriche e i vecchi montanari che si sono inventate le spa a tremila metri. «Certo, tutto questo ha portato il benessere - aggiunge Ferrari - ma, come spesso accade, esiste una soglia oltre la quale il bene inizia ad essere male».

Marco Albino Ferrari Montanari, giornalista, scrittore, uomo di montagna pur se milanese, è stato a Bolzano nell’ambito della rassegna “Libri per le vacanze” dialogando con Carlo Alberto Zanella sotto i portici di piazza Vittoria.

Marco Ferrari, dove si colloca questa soglia?

La stiamo toccando. La si supera quando partendo dall’indubbio benessere che la gestione della montagna negli ultimi decenni ha portato, ci si trova immersi nella crisi del mercato.

Che messa in montagna che significa?

Che il lusso delle spa, la miriade di alberghi al posto delle case, ha portato ad un esplosione dei prezzi: prezzi delle abitazioni e costo di ogni prodotto portato in montagna dalla pianura.

Conseguenze possibili?

Che gli abitanti della montagna rischiano di essere espulsi da questo contesto e, magari, si trovano ad abbandonare i loro luoghi. Oppure i luoghi stessi vengono snaturati da un uso improprio e forzato delle loro infrastrutture.

Rischi che lei ha documentato?

Accanto a valli che hanno trovato un rilancio proprio nel turismo di massa ce se sono altre che rischiano lo spopolamento. E poi l’abbandono dei paesi da parte dei vecchi abitanti trasformano questi luoghi in altro.

Esempi?

Il più evidente è Cortina. Ha una sua immagine chiara e nobile, come Capri o Portofino. Ma la deriva è l’esplosione del mercato immobiliare in termini di prezzi e affitti. Risultato: il 3,6% in meno di abitanti in pochi anni.

Anche in Alto Adige?

La provincia ha una sua specificità. Sia storica-culturale che economica. La tradizione del maso chiuso ha tenuto legati gli uomini alle loro case e ai campi. E poi quello altoatesino non è solo contadino, è un Bauer, l’aristocrazia contadina. Poi c’è la questione economica. La Provincia, tramite l’autonomia contrattata con lo Stato ha potuto condurre una politica intelligente ma certo dispendiosa per tenere legata la gente ai suoi luoghi.

Ma c’è un ma?

C’è. Per una serie di nuove dinamiche. Per prima cosa le infrastrutture. Sempre più invasive. Poi la tipologia dei rifugi. In valle Aurina hanno fatto un’astronave, il Santner, lasciamo stare… Infine il combinato disposto di queste due pressioni ha condotto al turismo di massa. Il turismo porta denaro ma il rischio è che sempre più megastrutture sostituiscano quelle famigliari. Per non parlare dell’aspetto immateriale.

Vale a dire?

Si sale sugli stereotipi della magia della montagna per portare altri tipi di magia: i centri benessere, le spa, l’intrattenimento falsamente autentico e tradizionale. Se non esiste più in natura lo si crea.

Poi c’è il cambiamento climatico.

Certo che c’è. Ma lo si tiene sottotraccia. Provando ad andare avanti così, stagione dopo stagione.













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