Il personaggio

«Con “Ossigeno” racconto 5 mesi in Rianimazione» 

Pronto il docufilm di Andrea Pizzini: dura 50 minuti e ci sono 20 tra medici e infermieri. «Quando entrano i pazienti sanno di dover lottare per sopravvivere» «Tra chi non ce l’ha fatta ricordo bene un 50enne e un paesano di 70 anni»


Massimiliano Bona


SALORNO. Si chiamerà «Ossigeno - Oxygen» l’attesissimo cortometraggio di 50 minuti dalla terapia intensiva firmato dal 43enne fotografo, regista e videomaker di Salorno Andrea Pizzini. Venerdì farà le prime anticipazioni sui contenuti della sua ultima fatica nell’ambito di un incontro promosso dal Comitato di educazione permanente. Cinque mesi in trincea, bardato di tutto punto, per documentare il Covid ma anche il nostro sistema sanitario che è riuscito a superare con lode un’emergenza senza precedenti.

Partiamo dal titolo: perché «Ossigeno»?

«Perché l’obiettivo, dall’ingresso nel reparto di Rianimazione in poi, è quello di riuscire a dare abbastanza ossigeno ai polmoni in modo tale da consentire ai malati di ritrovare le forze per sconfiggere questo virus davvero subdolo».

Cosa vedremo nel suo docu-film?

«La storia condensata di decine di pazienti (tutti di spalle ndr), dal momento dell’ingresso a quello della lotta durissima contro il Covid fino all’uscita dalla terapia intensiva».

In realtà, come sappiamo bene c’è anche chi non ce l’ha fatta.

«Io ero lì anche in quei frangenti, tutto bardato al fianco di medici e infermieri, e ho capito che perdere un paziente ti segna dentro. Ti lascia un vuoto profondo».

Tra chi non è riuscito a uscire dal tunnel ricorda qualcuno in particolare?

«Sì, mi è rimasto impresso in modo indelebile un uomo molto sportivo, poco meno di 50 anni, che pur essendo in condizioni fisiche migliori delle mie alla fine si è dovuto arrendere. Poi anche un paesano, sui 70 anni. Mi aveva riconosciuto ed era felice di scorgere un volto noto tra tanti sconosciuti».

Nel suo ultimo lavoro ci sono anche medici e infermieri?

«Sì, una ventina. Si vedono mentre parlano ai pazienti, spiegano loro le terapie, li rincuorano. La loro presenza è cruciale anche dal punto di vista umano e psicologico».

C’è un protagonista o una protagonista?

«Sì, a dettare i tempi del cortometraggio, è un’infermiera, Renate Figl, che entra ed esce dalla scena più volte. Il suo modo di approcciarsi ai malati rende perfettamente l’idea di cosa sia successo nell’ultimo anno».

Se dovesse riassumere in una sola parola il rapporto tra Renate e i pazienti quale sceglierebbe?

«Poesia. Poesia pura. Per la mente e soprattutto per il cuore».

C’è un messaggio che vuole trasmettere con questa sua ultima fatica?

«Sì, vorrei che da queste immagini si capisse in modo chiaro e netto perché siamo stati in lockdown un anno intero».

Cosa le ha lasciato questa esperienza?

«Lo capirò, probabilmente, tra qualche tempo. Di sicuro tante amicizie che resteranno per tutta la vita. Medici, infermieri ma non solo. Nei frangenti più difficili nessuno può permettersi di indossare una maschera e viene fuori per ciò che é veramente».

Stare così a lungo in ospedale le ha insegnato qualcosa?

«Sì, se ti metti in gioco e fai squadra puoi vincere. Anche contro un virus così cattivo. Che non guarda in faccia nessuno».

Si è portato la tensione di questi mesi a casa?

«Una volta mi è venuta febbre da stress che pensavo fosse Covid».

Il Covid, però, non l’ha preso...

«È vero ma ero troppo concentrato sul mio lavoro per pensarci. A dire il vero ho sempre avuto più paura di prenderlo al supermercato che non in terapia intensiva».

Moglie e figli cosa le hanno detto di quest’esperienza?

«Mia moglie Melle è stata eccezionale perché, in mia assenza, ha seguito due figli piccoli (Lia ed Elias). È stata lei a darmi la spinta per tuffarmi in questo reportage oggettivamente impegnativo. Mi ha detto “So che lo puoi fare bene. Vai”. Dei due ero io ad essere più restio all’inizio».

Ha già venduto il film?

«Per adesso no. E non è detto che lo faccia. In settembre, quando sarà finito, vorrei fare un tour in tutta la provincia per presentarlo assieme a medici e infermieri».

L’ha già fatto vedere a qualcuno?

«Sì, l’inizio e la fine, a due persone di fiducia. La reazione è stata decisamente superiore alle aspettative».













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