A Bressanone spunta l’orto del nonno di Ötzi

La scoperta archeologica dallo sbancamento alla Melix in zona Rosslauf: il primo terreno coltivato in Alto Adige settemila anni fa



BRESSANONE. Ecco qui il luogo dove il nonno di Ötzi coltivava la campagna nel quinto millennio avanti Cristi. La clamorosa scoperta è stata fatta in zona Rosslauf, un’area a cavallo tra i confini di Bressanone e Varna dove già in passato erano emersi segni di attività umana risalenti all’età del Rame. In zona erano stati trovate addirittura numerose tombe con corredi.

La scoperta, sulla quale sta lavorando l’Ufficio beni archeologici della Provincia diretto da Catrin Marzoli, è avvenuta sbancando un’area destinata ai magazzini Melix e le indagini sono proseguite senza incidere sui tempi del cantiere. Gli sbancamenti per la nuova opera edile hanno tolto vari livelli di alluvionali depositati nel letto dell’antico percorso dell’Isarco, che era spostato a ovest rispetto all’attuale.

Nei lavori di sterro, quasi miracolosamente, sotto a un livello di sabbia sciolta, facilmente asportabile, è emerso un antico piano limoso con evidentissime tracce delle prime coltivazioni avvenute nella conca di Bressanone. Le evidenze sono sicuramente ascrivibili a quei momenti di poco posteriori al mesolitico, quando gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori, decisero di rendersi stanziali iniziando in modo grossolano ma sempre più efficace a coltivare le lingue di terra limosa che accostavano i percorsi dei fiumi.

Naturalmente i paleosuoli emersi sono immediatamente stati sottoposti a indagine archeologica da parte dell’Ufficio Beni archeologici della Provincia con la direzione di Umberto Tecchiati e conduzione dello scavo della Soc. Ricerche Archeologiche di Bressanone di Giovanni Rizzi. Le testimonianze si sono subito dimostrate importanti.

Nello scavo presso la Melix si dovranno ancora eseguire molti studi di laboratorio posteriori allo scavo stesso per saperne di più, ma già fin da ora si nota che sull’area esiste una sicura testimonianza di “debbio”, ovvero di incendio volontario della vegetazione per ricavare aree coltivabili. Si tratta di un’area che in un momento tra neolitico e prima età del Rame venne sottoposta a erpicature e grossolane arature, i cui effetti sono ancora oggi miracolosamente evidenti. Nello scavo si notano ancora solchi paralleli, tracce di sradicamento, trincee a sezione quadra lunghe anche più di trenta metri, parallele anch’esse, cosa che fa pensare (ma si dovrà provarlo) a tracce di percorsi di carri oppure di slitte che lasciarono segni poco prima che una lenta alluvione sigillasse il piano agricolo sino ai nostri giorni.

I reperti sono scarsi, come sono genericamente rari in suoli coltivati antichissimi, solo qualche selce e grumi di concotto, sufficienti comunque per giustificare una datazione a millenni che possono collocarsi tra il VI e V a.C.. Solo le analisi al C14 del contenuto in radiocarbonio nei numerosi campioni botanici raccolti, potrà dare una datazione relativa, così come le analisi dei pollini e delle essenze erbose e arboree potranno indicare quale era l’ambiente conquistato con dura fatica dai primi abitanti della valle.

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