Addio a Giancarlo Stefani re della selvaggina locale  e degli insaccati d’autore 

La storica bottega di via Resia. La sua era una delle ultime macellerie italiane. Aveva 73 anni


Davide Pasquali


Bolzano. Avrebbe compiuto 74 anni il 9 giugno prossimo, ma se n’è andato ieri, così, all’improvviso. «Non è stato il virus, un infarto», racconta in lacrime il figlio Roberto noto ex hockeysta del Bolzano. Parliamo di Giancarlo Stefani, per 45 anni uno dei più apprezzati macellai dei rioni popolari bolzanini. Lascia la moglie Antonia, il figlio Roberto e soprattutto il suo amatissimo nipotino Nicolas, 10 anni, con il quale, dopo essere andato in pensione nel 2016, trascorreva lunghi periodi di vacanza nella sua casa in Valsugana, una delle grandi passioni assieme a caccia, pesca e campagna.

La macelleria Stefani, al civico 86 di via Resia, era ben più di un negozio di carni e insaccati. Appena entravi, trovavi una panchina. A ben vedere il segno distintivo del negozio, oltre alla formidabile esposizione di qualunque tipo di carne appesa ovunque, allevata e selvatica, semipreparata e non. Sulla panchina ci si sedeva, per attendere di essere serviti. Ma ci si accomodava anche e soprattutto per farsi due chiacchiere. Il tutto, per decenni. Aveva chiuso poco meno di quattro anni fa. Per sempre. Giancarlo e Antonia Stefani, suonata la campanella dei 70, avevano detto stop. Tutto tranne che una microstoria rionale, la loro. L’aveva ben sintetizzata al nostro giornale lo stesso Giancarlo, al momento del commiato dai clienti: «Quando abbiamo aperto, in città c’erano 120 macellerie. Oggi, tolte quelle degli immigrati, ne sono rimaste 7-8». La loro, avevamo aggiunto noi, era la penultima macelleria italiana della città.

Giancarlo inizia a lavorare nel 1962, nella macelleria del fratello, in via Duca d’Aosta. Nel 1964 conosce la moglie, si sposano nel 1970, l’anno dopo decidono di trasferirsi nei rioni popolari. Altri tempi. Siamo in zona Semirurali, famiglie numerose, comprano chili e chili di carne. Niente supermercati. Vegetariani? Nemmeno l’ombra. Le massaie cercano carne genuina e la sanno cucinare. Si spende magari un poco di più, ma ne vale proprio la pena. E Stefani ci mette del suo: prepara tutto nel retrobottega, si affida il meno possibile a terzi. Cerca le bestie migliori nelle valli. «Non serve la Chianina, in Alto Adige i contadini hanno carne ottima». Unica importazione da fuori: cinghiale.

Quando aveva chiuso, a primavera 2016, Stefani non voleva farsi fotografare. Troppa poca carne esposta, gli ultimi giorni di apertura. Una tristezza, mormorava. E lo diceva con grande dispiacere, perché i clienti sapeva ne avrebbero sofferto, come poi è effettivamente accaduto. Per capirlo, era sufficiente leggere un cartello esposto in bottega: polpa asino, lepre pulita, coscia cervo, fagiano pulito, polpa cinghiale, coscia capriolo, piccioni. Dove altro comprarli, in città? Dove trovare qualcun altro che lavorasse fino alle 4 di notte, a Natale, per preparare gli zamponi artigianali per tutti?

Il giorno che eravamo andati a salutarlo, due episodi illuminanti, commoventi. Era entrata un’ottuagenaria e a Stefani aveva fatto la battuta, che ripeteva probabilmente da 45 anni: lei ha fegato? E lui, come sempre da 45 anni, aveva risposto: io sì, che ho del fegato. Era seguita la risata rituale, sempre la medesima, da decenni. Poi era entrato un vecchietto: ciabatte, un poco spettinato, sciupato, forse vedovo. Giancarlo e Antonia lo avevano salutato con calore, chiamandolo per nome. Ci era parso fosse andata così: anche se forse non se lo sarebbe potuto permettere, gli avevano tagliano giù tre belle fettine di carne rossa sopraffina, facendogliele pagare il minimo sindacale. Era l’altissima valenza sociale della macelleria. Oltre all’elevato valore dell’artigianato che va scomparendo, la quintessenza del commercio di vicinato che tanto ci mancherà.













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