Addio Kreuzer Il suo museo donato alla città

Aveva 78 anni, ha lasciato la collezione d’arte e un palazzo per farne un nuovo polo culturale


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Donare 1.500 opere, l'amore della sua vita, e avere gli occhi felici. Perchè li aveva quegli occhi Josef Kreuzer, la mattina in cui ha stretto la mano all’assessore Philipp Achammer e gli ha detto: «Ecco, sono vostre. Ma a patto che la Provincia ci faccia un museo e che tutti li possano vedere come li ho visti io. Ogni giorno che ho potuto». E ora che gli occhi li ha chiusi, a 78 anni, si comincerà a capire perché erano felici. «L'arte è come un giardino, che vive solo se c'è aria, luce e se vi si può passeggiare» scriveva Roberto Longhi. Ecco un primo perché. Josef Kreuzer non ha mai pensato che quei quadri, tutto il Novecento del vecchio e del nuovo Tirolo e anche oltre, gli fossero mai appartenuti del tutto. Ad Achammer ha detto anche: «Pure voi, in Provincia, avete una magnifica collezione. Ma la mostrate alla gente così poco...». Appena ha potuto, invece, lui lo ha fatto. Ha svuotato un magnifico edificio che corre tra via Argentieri e via Portici, poi lo ha riempito di opere e infine lo ha aperto a tutti. La "Kreuzer Sammlung", la “Collezione Kreuzer”, cresciuta lungo una vita di ricerche, passioni, innamoramenti e curiosità sempre accese era già una galleria- museo da un po' di anni ma discosta, in penombra. Per questo ha voluto privarsene ancora in vita, forse presagendo il male che se lo sarebbe portato via e dunque accelerando i tempi della donazione (lui, senza eredi) e infine quasi forzando la mano alla Provincia perché prendesse l'impegno di farne un museo vero, il nostro "museo del Novecento", quello che ancora non c'è perché il Museion è un'altra cosa, è una scelta, un'opzione sul futuro più che un racconto di come siamo. E ieri, appena saputo della sua morte, il presidente Arno Kompatscher e Achammer non si sono tirati indietro: «Sentiamo come nostro impegno quello di portare avanti il suo ultimo grande progetto e di attuarlo secondo le sue intenzioni». Sarà un museo dunque, la sua Sammlung. Ecco la promessa. Come il rimpianto per non avergli potuto consegnare l'aquila tirolese che avrebbe dovuto ritirare tra pochi giorni. Un dono irrinunciabile, il suo: 1.500 opere dall'Alto Adige, al Tirolo al Trentino passando dal Liberty all'espressionismo, dal futurismo all'astrazione fino alle frontiere del concettuale. Sedici milioni di patrimonio stimato, tra quadri, sculture, installazioni e immobili che li ospitano. Ha detto Arnaldo Loner, avvocato e strenuo ricercatore di stampe antiche, studioso appassionato della storia e dell'arte: «Non esiste al mondo una collezione del Novecento dell'area tirolese vagamente paragonabile a quella di Kreuzer. A lui dovremo erigere un monumento, magari al posto di re Laurino che invece crea solo discordia». Ecco, probabilmente quella brutta statua, Kreuzer non l'avrebbe portata nelle sue stanze. Non perché grande ma perchè brutta. Ma è una congettura. È stato un giudice, Josef Kreuzer. Il primo di lingua tedesca. Uomo di legge. Ed è avvenuto proprio mentre lavorava come praticante e poi come procuratore legale nello studio dell'avvocato Riz che il suo interesse per l'arte, iniziato con "ottimi professori al liceo ginnasio", è diventato una passione. «Guardavo con particolare piacere un paesaggio ben articolato di Karl Plattner appeso sopra la mia scrivania» ha ricordato qualche tempo fa. Alzava gli occhi dai codici e si perdeva in quei colori crudi. Suo suocero era un Eccel, Friederich. Anch'egli amante dell'arte e mecenate. Nella sua villa di via San Quirino non solo raccoglieva quadri ma ne ospitava anche gli autori. Hanno vissuto un anno in quella casa Plattner e Leonardo Cremonini, Hans Ebensperger e pure l'architetto Othmar Barth. Un cenacolo. Nel senso anche di cene. E pure di colazioni: pane, burro, marmellata e poi salame e speck. Kreuzer matura in questo mondo. Naturale che i suoi primi riferimenti, le basi della sua collezione, come ha ricordato il critico Carl Kraus nel grande volume Athesia sulla sua "Sammlung", siano stati Ebensperger, Plattner e anche Peter Fellin. Forse il più amato. Dopo di loro sono arrivati gli inquieti austriaci come Kokoschka o i primi moderni di area come Albin Egger-Lienz o Ferdinand Hodler. Raggiunti dagli esponenti dell'avanguardia austriaca dopo il 1945 (Arnulf Rainer, Oberhuber, Pichler, Hermann Nitsch). Ma anche da quella italiana con Zorac Music, Giuseppe Capogrossi, Giuseppe Santomaso, Afro o Emilio Vedova. Comunque includendo e partendo dal futurismo, da Depero, Baldessari e poi i grandi trentini e roveretani, quelli che hanno fatto la gloria del Mart, come Melotti. E anche i nostri, intesi come territorialmente contemporanei, dalla Hoelzl, a Julia Bornefeld, a Cagol, Micheli, Schiano, Schwazer. Dunque tutto il Novecento. Ma Kruezer non era uomo da fermarsi ai confini. E dunque lo ha scavalcato, ritrovandosi tra le mani le nuovissime esperienze formali mai dome. Ecco perché Arnaldo Loner ha parlato così della Kreuzer Sammlung. Perché non è solo un museo. Cioè non lo sarà solo un museo. Potrà essere un luogo in cui il futuro è di casa, fa sentire il suo respiro. Non solo quello dei padri della modernità. Che pure ci sono mancati così tanto, perché un territorio non può vivere senza confrontarsi con chi lo aveva già immaginato per come è adesso già un secolo fa: in fondo mai in pace. E infatti, polemicamente, Loner ha aggiunto: «Un museo Kreuzer sotto i Portici potrebbe diventare uno dei principali punti di riferimento culturali di tutta l'Euroregione. Altrochè Museion...». Ma il Museion dovrà collaborare. Uscire dalla sua trincea e provare a confrontarsi col Novecento inquieto raccolto in una vita da Josef Kreuzer e ora tutto nostro. E riempire così quel vuoto in cui la cultura altoatesina ha vissuto troppo a lungo. Fino a ieri.













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