«Assassino per un grave disagio»

Depositate le motivazioni della condanna a Montolli. L’avvocato non impugnerà


di Mario Bertoldi


BOLZANO. L’inchiesta ed il processo non hanno permesso di comprendere appieno il motivo scatenante dell’aggressione di Kevin Montolli alla prostituta bulgara Svetla Fileva, assassinata a coltellate in via Macello all’alba del 9 settembre di due anni fa. Lo scrive in sentenza la giudice Silvia Monaco che decise, applicando la diminuzione di pena prevista dal rito abbreviato, di condannare il giovane assassino a 14 anni di reclusione per omicidio volontario e a 2 mesi e 20 giorni di arresto per la contravvenzione relativa al porto abusivo di coltello. Il movente del delitto, dunque, non è stato chiarito ma la giudice in sentenza scrive: «Certo è che Kevin Montolli nell’atto violento ha liberato tensioni frustrazioni e dolore di altra origine». Il delitto di via Macello, dunque, trova origine nel passato di questo giovane panettiere apparentemente timido e tranquillo ma dall’infanzia molto triste e difficile. Quella notte Kevin Montolli, dopo la serata trascorsa in alcuni locali notturni, aveva deciso di recarsi in via Macello in bicicletta per cercare una prostituta che conosceva. Aveva portato con sè un coltello «per difesa». In sentenza si ricorda che l’esplosione di violenza con reiterate coltellate è avvenuta a conclusione di un rapporto sessuale concordato. La giudice Silvia Monaco rileva in sentenza che l’imputato agì con crudeltà, colpendo la vittima improvvisamente mentre si stava rivestendo. Le coltellate furono 36. Quelle al torace (16) e alla schiena (8) furono mortali. Le altre furono inferte unicamente «per aumentare l’agonia della vittima». «Si configura crudeltà - si legge in sentenza- perchè le modalità esecutive rivelano un’indole insensibile alle sofferenze particolarmente dolorose per il soggetto passivo».

In sentenza è caduta l’aggravante dei futili motivi perchè la giudice ritiene provato che il delitto non fu provocato da una frase o da una battuta della vittima «ma trova le sue radici in una complessa, radicata , situazione di disagio dell’imputato» a cui però vengono riconosciute le attenuanti generiche in considerazione delle sue condizioni personali e sociali. «Un ragazzo di 21 anni - scrive la giudice - lasciato a sè stesso, che ha avuto durante l’infanzia esclusivamente modelli genitoriali negativi» e che ha cercato «di costruirsi un’esistenza diversa da quella dei genitori». L’avvocato difensore Flavio Moccia non impugnerà in appello,

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