Ateneo, l'attesa delle imprese


Enrico Valentinelli


La prima impressione che può desumersi dal costituendo cda della Lub è foriero di grandi aspettative. In primo luogo si può dare atto alla giunta provinciale di voler scommettere sul cambiamento, avendo agito con logica e lucidità, abbanddonando, nelle scelte dei candidati, la consuetudine di uno sport nazionale che troppo spesso ricorre a soluzioni di spartizione politica. Se il buon giorno di vede dal mattino, abbiamo già superato, almeno sulla carta, il primo ostacolo, registrando consensi trasversali nel mondo economico.
Un consenso che aiuta l’evoluzione positiva di un processo. Mai come oggi c’è percezione e coscienza di aumentare la nostra competitività scientifica e tecnologica; la conoscenza, la scienza e la tecnologia sono uscite dalle riviste specializzate e conquistano sempre più spazi su stampa e altri mezzi di comunicazione. Finalmente è cresciuta la sensibilità su questo tema anche tra l’opinione pubblica. Gli scenari più accreditati dei prossimi 15-20 anni evidenziano come la predisposizione al consumo ed i mercati siano orientati da tre esigenze/bisogni principali: salute, sostenibilità ambientale, sicurezza. La conoscenza, la ricerca e l’innovazione tecnologica svolgeranno in questi ambiti un ruolo fondamentale nel determinare la capacità di rispondere a queste esigenze, e proprio in questo contesto può trovare spazio anche la ricerca locale. Occorre correggere da subito e reimpostare i meccanismi che influiscono sulla qualità del nostro sistema pubblico, di formazione, ricerca ed innovazione. Per fare questo serve individuare alcune tematiche coerenti con il territorio e pianificare, di concerto con gli altri attori, l’attività futura in funzione di pochi ma chiari obiettivi. Di fronte ai dissensi - peraltro pochi - sull’ipotizzabile nuovo corso dell’università, basti ricordare come il nostro paese sia cresciuto fino agli anni 70 e come da allora abbia continuamente perso in competitività, quote di mercato, capacità di creare ricchezza. Questa è stata la fase della storia in cui si sono affermati modelli di riferimento culturali, nella scuola e nella società, contraddittori rispetto alle esigenze di competitività, di apertura e di collegamento della scuola e delle università con il mondo del lavoro. Oggi la pressante esigenza e la complessità della sfida che abbiamo di fronte, non può lasciare spazio a questo tipo di movimento, che deve essere contrastato con obiettività; questo non vuol dire aziendalizzare scuole e università ma, invece, dare prospettive di lavoro a quei giovani che investono nella conoscenza. La ricerca, l’università, la scuola, sono il perno della politica di sviluppo economico, sociale e civile e l’unica ancora di salvezza. Per difendere, rafforzare, migliorare il livello di qualità della vita non  possiamo più aspettare: stare fermi vuol dire farsi superare da tutti.













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