Azzardo, Bolzano è il modello per l’Antimafia

Siamo i soli in Italia ad aver rimosso le macchinette esistenti Il Consiglio di Stato conferma: «Distanziometro legittimo»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Diverse altre regioni italiane si sono mosse, ma a raggio limitato, impedendo l’installazione di nuove macchinette da gioco ma non facendo rimuovere quelle esistenti ritenute di troppo. Contrariamente a quanto è accaduto nella nostra regione. Stiamo parlando di gioco d’azzardo: la commissione parlamentare antimafia - nella relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito illustrata martedì alla Camera, contestualmente all’approvazione della risoluzione Bindi sul da farsi in futuro di cui relazioniamo qui sotto - cita espressamente Bolzano e Trento come esempi di legislazione legittima e consona a limitare il gioco patologico, quello minorile e in ogni caso problematico.

In generale, si legge, «gli strumenti previsti dalla normativa vigente nelle varie regioni si sono rivelati efficaci per contrastare l’apertura di nuove sale da gioco, considerando anche che l’attività di scommesse e giochi viene sempre più spesso gestita da soggetti di altri paesi europei privi del titolo abilitativo rilasciato dall’autorità italiana». Ad esempio, il Tar della Lombardia ha respinto il ricorso di una società in quanto la certificazione dell’installazione da parte della Amministrazione dei Monopoli è comunque successiva all’entrata in vigore della normativa regionale in materia.

Discorso diverso, si spiega oltre, è quello degli esercizi già attivi prima dell’entrata in vigore delle leggi regionali, «con l’importante eccezione delle leggi provinciali di Trento (n. 13 del 2015) e di Bolzano (n. 17 del 2012) che consentono la rimozione anche degli apparecchi installati prima dell’entrata in vigore della normativa».

Sul tema si sono pronunciati anche i giudici amministrativi, «che hanno considerato pienamente legittime le misure adottate: i titolari delle sale da gioco non possono vantare alcun affidamento "al mantenimento degli apparecchi da gioco, avendo il legislatore, con una norma sopravvenuta, ritenuto contraria all’interesse pubblico la messa a disposizione di tali giochi negli esercizi pubblici che si trovino nel raggio di 300 metri dai luoghi che lo stesso legislatore ha individuato come sensibili (...) ed è rimesso alla discrezionalità del legislatore regolare lo stato dei rapporti pendenti, valutando la scelta tra retroattività ed irretroattività, con il solo limite che la scelta risponda a criteri di ragionevolezza e non siano contraddetti principi e valori costituzionali"».

Sul punto si è espresso anche il Consiglio di Stato (con la sentenza n. 4498/2013 e pure di recente con la n. 579/2016), «evidenziando che le disposizioni della legge provinciale "non incidono direttamente sulla individuazione e l’installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni e, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate”». Appare evidente, si conclude, «come sottolineato ancora una volta dal Consiglio di Stato, che l’esistenza di una precedente autorizzazione non può giustificare una deroga permanente a una normativa successiva volta a tutelare il bene della salute pubblica: sarà pertanto compito delle amministrazioni competenti dettare una disciplina transitoria volta a individuare le soluzioni più idonee per consentire quella "progressiva ricollocazione" cui fa riferimento anche il decreto Balduzzi».

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