Baby-gang e bullismo La sfida della scuola e delle associazioni

L’impegno dell’Aias per aiutare i ragazzi nel tempo libero Di Curti: «In molti casi manca la stabilità data dalla famiglia»


di Marco Pugliese


BOLZANO. Molto si è scritto e molto si è detto a proposito del fenomeno babygang, tra ronde ed appelli alla cultura. Nel rione Don Bosco, la cui storia è intrecciata con la vecchia “Sciangai”, il problema è d'estrema attualità. Sul campo sono al lavoro insegnanti, educatori e psicoterapeuti.

Le scuole del quartiere hanno attivato progetti extrascolastici finalizzati al recupero ed alla valorizzazione di soggetti deboli. A questo si aggiungono proposte in sinergia con associazioni di quartiere come l’Aias, che offre iniziative che spaziano dal recupero didattico alla stesura dei compiti a casa. Il responsabile dell' Associazione Andrea Di Curti, spiega come in un quartiere molto complesso le iniziative di recupero pomeridiano siano molto richieste. Molto spesso infatti, a questi ragazzini manca la stabilità che una famiglia può offrire.

«Anche solo svolgere un compito - racconta - può togliere dalla strada minori che altrimenti passerebbero il pomeriggio a bighellonare».

Il progetto CompitAias è attivo da settembre a giugno, responsabile la psicoterapeuta Chiara Rullo che illustra le finalità: recupero scolastico, integrazione sociale ed interazione tra pari. Per storia, nel quartiere, la situazione, dagli anni '50 in poi è sempre stata molto complessa a livello sociale, un rione soggetto ad “ondate” migratorie, prima interne (sud Italia e Veneto per lo più) e poi esterne, presente una costellazione d'etnie che varia dall'Albania al Marocco, passando da Pakistan, India e Tunisia. Tendenzialmente si è modificato il tessuto urbano, ma sono rimasti i classici problemi. I progetti di recupero non mancano neanche a scuola, all'istituto pluricomprensivo Europa 1 di via Palermo, le iniziative sono molteplici. Negli scorsi anni l’approccio è stato di carattere sportivo, partendo da ciò che i ragazzi amano di più, ovvero gli “street sport”.

Dal basket al calcio, l'istituto propose veri e propri percorsi per incrementare socializzazione ed integrazione. A questo s'aggiunsero anche proposte a sfondo storico. Oltre a ciò non mancano gli sportelli dedicati ai compiti e la tradizionale “Festa dell'intercultura”, in cui gli alunni per una giornata frequentano laboratori culturali “mondiali”. Ma nonostante gli sforzi, la questione “bullismo e babygang” permane. Nasce dal disagio sociale, dai minori con sfera affettiva carente. La scuola copre un lasso di tempo non sufficiente (nonostante gli sforzi e le interazioni con servizi sociali e forze dell'ordine) e diventano fondamentali le progettazioni oltre scuola. Lo conferma anche Abdul Chniouli, che nel rione è nato è vissuto, ora universitario di vent'anni, impegnato anche in politica.

La sua analisi è schietta: «Si tratta di ragazzini in crisi d'identità, spesso di backround migratorio diverso, accomunati da difficoltà ambientali, incapaci di riconoscersi nella cultura originaria quanto in quella ospitante». Nel mezzo, la mancanza di un perno culturale per l'assenza della famiglia. Secondo Abdul infatti la situazione è peggiorata rispetto ai “suoi tempi” (dieci anni addietro), quando i ragazzini immigrati non erano ghettizzati. Ribadisce che anzi, la tendenza fosse opposta, ovvero intrecciarsi al massimo con i “bolzanini”, era una “spinta” che partiva da casa. Oggi non è sempre così.

Chniouli conosce molti di questi ragazzini e sottolinea il fatto che è il branco formato dal disagio ad influenzarli negativamente. La via non può che essere quella della progettazione culturale, creare iniziative, impegnare questi giovani, essere attrattivi, insomma è necessario che la società recuperi ed eviti che questi minori finiscano in pasto alla delinquenza vera, a quel punto sarebbe tardi.

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