Bar e ristoranti, effetto Covid: in 100 rischiano di sparire
La stima degli esercizi bolzanini. Alcuni gestori hanno già cambiato lavoro. A soffrire sono i locali più piccoli
BOLZANO. . Basta, non ce la fanno.
«Quest’anno non abbiamo tenuto aperto un giorno. Dico
uno. È come attraversare un deserto...». Chi parla è un barista
che da un po’ ha smesso di fare
il barista. Ha iniziato un altro lavoro. Perché da qualche parte
c’è. Non dietro un banco. Altri
ci stanno pensando. Ieri, in via
Streiter, sulle vetrine del Tivoli
è apparso un cartello. Piccolo,
incollato al vetro. Dice: «Negli
ultimi giorni abbiamo scoperto
che lavorare con queste regole,
che cambiano continuamente,
non è possibile. Lotteremo ancora... Ma possiamo stare aperti solo qualche ora, la mattina.
Dalle otto alle dodici». Non è
una resa ma è il senso di una vita che cambia . E gli altri ?
«Secondo il nostro osservatorio sono cifre da capogiro - dice Simone Buratti (Unione commercio) - perché almeno
il 20% tra bar e ristoranti non
riapriranno, Parliamo di un
centinaio di attività» . Il suo è un osservatorio molto vicino alla realtà. E la
realtà dice che non solo il Lumina, un esercizio tra i primi ad
annunciare la non riapertura,
ma molti altri sono sulla via di
non ritorno.
Per inciso l’azienda di Buratti e del padre Roland è la proprietaria del Tivoli. “Ringraziamo la famiglia Buratti per la
comprensione” è scritto nella
chiusa al manifesto esposto in
via Streiter.
Succede così a volte. Che chi può non richieda il
pagamento dell’affitto. Almeno per i mesi più duri, quelli
della chiusura senza se e senza
ma. Per altri non è andata così.
Perché spesso i proprietari sono entità senza volto. O mutui
da pagare.
«L’asporto non ci
basta. È come una goccia del
mare» aggiunge un gestore del
centro storico. E l’Unione commercio conferma: «Con quello
che entra nelle piccole aziende
di ristorazione o dei caffè con la
formula del take away non si
riesce neppure a coprire le spese fisse, luce e energia. Si apre
un poco solo per mantenere
quel minimo di rapporto con i
clienti abituali...».
Tanto che la
stessa Unione lancia un monito: se lunedì non cambiasse
qualcosa, nel protocollo per il
settore, si è pronti ad azioni
molto visibili. Il “qualcosa” significa almeno uno step: «Consentire di tenere aperto a mezzogiorno con la possibilità di
stazionare. Anche all'esterno
sui tavolini».
Poi c’è la questione dei negozi. Che sono aperti
da un po’ di settimane ma che
registrano fatturati nettamente inferiori a quelli degli anni
passati. E che tagliano in due gli
esercizi, come un confine insuperabile: da un lato ci sono i negozi che operano soprattutto
con la clientela locale, dall'altra
quelli che fanno risiedere gli
utili nel movimento turistico.
Per i secondi è stata calcolata
una perdita secca del 40%. La
ragione: «I luoghi del commercio sono ambiti tutti interconnessi - spiega Buratti - e si tengono in piedi reggendosi su più
gambe. Se i bar sono chiusi c'è
meno gente in giro, e se c’è meno gente anche i negozi delle
più varie tipologie vedono entrare sempre meno clienti. Ad
esempio: i centri storici sono
spazi vivi, in queste condizioni
rischiano di essere depressivi ,
con piazze spoglie e tavolini accatastati».
Insomma, i segnali
ci sono tutti. Da un lato gli esercizi che non riapriranno. E che
sono un numero impressionante, mai registrato in passato.
Dall’altro chi tiene ma arrancando. Con fatturati in grado di
poter far mantenere la linea di
galleggiamento ancora per poche settimane. Per questo, al di
là delle singole azioni di protesta, l’Unione sta facendo pressione sulla provincia perché
dal 20 di questo mese si avvii
una progressione di rilasci. Partendo proprio dai bar. «Sono
quelli che hanno sofferto di più. Siamo ad aprile, è da tutto il
2021 che nessuno è mai più riuscito a lavorare. In queste condizioni è quasi stupefacente
che solo il 20% abbia deciso di
mollare». Intende, Buratti,
che gli altri si pongono al limite
dell'eroismo imprenditoriale.
(p.ca.)