IL CASO

«Bergamo, un lucido sadico sessuale»: quella perizia decisiva 

Il criminologo Francesco Bruno firmò nel 1994 il parere che portò alla condanna del serial killer bolzanino


PAOLO CAGNAN


Bolzano. «Noi abbiamo visto una personalità con numerose conflittualità inconsce. È come se si venisse a creare un circolo vizioso in cui l’attrazione genera repulsione, la repulsione genera frustrazione e la frustrazione produce il rifiuto e l’aggressione».

Diciassette gennaio 1994, aula della Corte d’Assise di Bolzano. È l’ultima udienza del processo contro Marco Bergamo, accusato dell’omicidio di cinque donne.

Decine di persone aggrappate alla balaustra che separa lo spazio riservato al pubblico, la stampa, le telecamere di «Un giorno in pretura», che hanno documentato tutto il dibattimento, trasformandolo in un caso nazionale. Chi parla è il professor Francesco Bruno, criminologo tra i primi a calcare i salotti televisivi che in quegli anni iniziano a scoprire quanto faccia audience la cronaca nera, invitando gli esperti a parlare di cold case o clamorosi fatti di sangue, docente all’università La Sapienza di Roma, morto l’altro giorno a 74 anni.

Occhiali, barba, capelli spesso scompigliati, una sagoma imponente, Bruno è ormai volto noto al grande pubblico. Non così i due signori che gli siedono accanto: si chiamano Ugo Fornari e Gianluigi Ponti. Il primo torinese, il secondo milanese, insieme hanno scritto «Il fascino del male»: come Bruno sono psicopatologi forensi, ma la definizione è riduttiva: messi insieme, quei tre sono il meglio della psichiatria forense in Italia. Ancora oggi, nelle università si studia sui loro manuali.

Li ha riuniti in una “collegiale” il presidente dell’Assise Felix Martinolli e tutti, in aula, sanno che quello è il passaggio decisivo di tutto il processo. Perché sono loro, la cui autorevolezza nessuno potrebbe mai mettere in discussione, che dovranno decretare il destino del serial killer: matto oppure no?

Si sa come vanno queste cose. Lo scontro tra periti è un classico della storia giudiziaria italiana, che si tratti delle condizioni mentali di un assassino o del lamierino alterato di Unabomber. E non è un caso se i periti di parte arrivano puntualmente a conclusioni opposte: incapace di intendere e volere per la difesa, pienamente in sé per l’accusa e le parti civili.

Nel caso di Marco Bergamo, non è questione da azzeccagarbugli. Bolzano è sotto shock da quando, il sei agosto 1992, quel carpentiere baffuto e allampanato di 26 anni venne fermato a Bolzano sud, poche ore dopo l’ultimo delitto. Nella Seat Ibiza rossa, le prove schiaccianti della sua colpevolezza.

Una prima confessione, poi tutto il resto - sino a Marcella. Il buco nero in cui tutta Bolzano era stata inghiottita da quel tre gennaio del 1985. Il sollievo, l’incredulità, la rabbia di una città intera. C’è tutto questo, e molto altro, dentro a quell’aula madida di sofferenza. C’è fame di giustizia, ma anche un disperato bisogno di capire.

Il professor Francesco Introna, primo perito della corte, dice che Bergamo è uno psicotico: dunque, non carcere ma manicomio criminale. I tre superperiti ribattono che no, era perfettamente cosciente.

Lo etichettano: un sadico sessuale. E portano, con la loro perizia, a una decisione quasi stupefacente, a lato della scontata condanna all’ergastolo: quella di riconoscere la premeditazione per quattro delitti su cinque.

Tutti, tranne il primo: quello di Marcella Casagrande, appunto.

Un apparente cortocircuito, visto che Bergamo quel maledetto pomeriggio la incontra, la lascia, torna a casa a prendere il coltello (la Corte dice però che le prove a sostegno, su questo, non sono sufficienti), si presenta da lei e la uccide barbaramente. Più premeditato di così, verrebbe da dire…

E invece no.

La Corte segue Bruno e gli altri due luminari nella loro ricostruzione psicoforense, agghiacciante ancora oggi a quasi trent’anni di distanza: è in quel giorno d’inverno che Bergamo scopre il piacere di uccidere: da lì in poi, saranno tutte vittime predestinate.

Una roulette russa, questo è stata. Non sappiamo quante siano scampate, né quante ci siano rimaste sotto.

(giornalista e scrittore)

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