Bolzano: gestiva una casa di appuntamenti clandestina, maitresse deve pagare le tasse

La Cassazione conferma la condanna di una donna accusata di evasione fiscale sui proventi illegali (200 mila euro) del giro di prostitute d'alto bordo da lei tenuto nel capoluogo altoatesino. I carabinieri hanno trovato anche un registro delle entrate


Mario Bertoldi


BOLZANO. Anche chi gestisce una casa di appuntamenti clandestina, sfruttando la prostituzione di ragazze squillo d'alto bordo _ quelle che oggi si chiamerebbero escort _ deve fare i conti con il fisco.

La terza sezione della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dei legali di Concetta Violi, l'ex maitresse bolzanina (già condannata per sfruttamento della prostituzione) e finita nei guai anche per evasione fiscale per aver sottratto a regolare tassazione, nel 2003, introti per complessivi 196.420 euro. L'imposta evasa era pari a 80.101, dunque superiore ai 77 mila euro che rappresentano la soglia oltre la quale scatta il reato penale.

All'epoca gli avvocati difensori contestarono l'impostazione della Procura della Repubblica di Bolzano che però ora ha trovato piena soddisfazione nella decisione della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di Concetta Violi la cui condanna ad un anno di reclusione diventa irrevocabile.

A mettere nei guai con il fisco la «maitresse» bolzanina era stato una sorta di registro contabile che i carabinieri avevano sequestrato nell'appartamento di via Arezzo. Proprio sulla base di quelle annotazioni scattò l'accusa di evasione fiscale per l'anno 2003. La difesa sostenne sempre che le cifre indicate nel registro erano da considerarsi «lorde» dato che andava sottratta la percentuale riservata alle singole prostitute.

Il contenzioso fece sempre riferimento alla possibilità o meno di sottrarre, alla somma soggetta ad imposta, i costi sostenuti per l'attività delle ragazze. A tal proposito il procuratore Guido Rispoli sostenne in aula la non deducibilità delle somme consegnate alle prostitute in quanto i costi derivanti da reati (come lo sfruttamento della prostituzione) non sono detraibili ai fini fiscali.

Questa impostazione è risultata vincente in Cassazione: la terza sezione (presidente Altieri, relatore Amoresano) ha infatti ribadito che il costo che Concetta Violi sosteneva per alimentare la sua attività illecita non poteva essere detratto dall'imponibile.

Ma la suprema Corte ha anche confermato che il reddito derivante da attività illecita deve essere segnalato al fisco in quanto soggetto a tassazione. Una diversa conclusione - scrivono i giudici - comporterebbe una evidente disparità di trattamento con i redditi derivanti da attività lecite.













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