LA FASE 2

Bolzano, i dubbi dei bar tra zero turisti, plexiglas e rebus distanza 

Tra piazza Erbe e Walther i gestori si interrogano.  «Ma il cliente seduto deve stare a un metro o due?». Il Domino  dimezza il dehor. Il Nadamas: «Protezioni alle casse o no?»  La questione Inail: il bar Mattei riapre il 18 maggio «Così siamo sicuri»


Paolo Campostrini


BOLZANO. Girando per il centro, tra tavolini incatenati, asporti “liberati” e caffè cartacei, la sensazione è che più che risposte, la legge provinciale abbia portato molte domande. Ricordiamo infatti che lunedì possono riaprire bar e ristoranti con tutta una serie di restrizioni.

Baristi col metro in tasca. I baristi sotto il Vogelweide hanno tutti il metro in tasca per provare a rispondere ad una su tutte: «Ma se i tavoli devono avere tra loro una distanza di due metri, la devono avere anche gli avventori nel caso seduti sullo stesso tavolo?».

Tra il Bar Domino e il Walthers’ la discussione sul metro da usare tra cliente in piedi e cliente seduto, tocca livelli da esame di Stato per geometri.

Ma il dubbio resta. «Perché se anche chi si siede deve stare a due metri dal suo amico, dovrò tenermi un solo cliente per tavolo...» si dicono i fratelli Claudio ed Alex Marchesini, del primo locale e Franco Collesei, del secondo. «E se affermano di essere congiunti e se ne stanno in quattro, chiedo i documenti?».

Questo in piazza Walther. Che fare col plexiglas? In piazza Erbe, c'è la stessa incertezza del giorno prima degli esami: «Il plexiglas davanti alla cassa devo metterlo o no?» si chiede Verena Trenner, del Nadamas. Vuol dire, in sostanza: dovremo andare a naso applicando le misure che sentiamo girare da un po' in tv o questa nostra legge ne contiene di sue?

Il dubbio dell’assicurazione. In via della Mostra esce un cameriere: «Ma è vero che se mi ammalo o mi infortuno nessuno mi copre? Oppure deve rispondere il mio datore di lavoro...?». Che è poi la traduzione di un dubbio che si trascina da giorni intorno alla norma della Provincia che ha anticipato le date di apertura degli esercizi ma senza la "protezione" dell'Inail. In via Leonardo da Vinci, il Franzbar lavora che è un piacere: asporto controllato, fila ordinata, tavolino a fare da barriera e a impedire l'ingresso: «Per adesso tutto è chiaro. E lunedì? Ci proviamo ma...».

Tanti dubbi. Ecco, se c'è una sigla che da ieri accompagna la vigilia della via sudtirolese alla fase due in netta contrapposizione a quella nazionale che aprirà invece tutto tra una settimana, è questa: il "ma". Seguito da un punto di domanda. E da una serie di analisi del testo appena comparso sul sito della Provincia.

Verena Trenner alza gli occhi dal suo computer, dietro il banco del suo Nadamas: «Cerco di capire ma non capisco tante cose, tipo plexiglas e distanze tra la gente seduta. Ma oggi è sabato. Chi trovo per le forniture del materiale domenica? Lunedì apro, cioè potrei aprire. Ma che faccio? Va bene tenere i tavolini a due metri ma i clienti? Se sono in piedi bene, ma da seduti ancora due? Io di solito qui dentro ho 80 persone. Se ne metto una per tavolo scendo a 20 non a 40».

C’è chi aspetta il 18 maggio. Il Bar Mattei: «Lunedì? Sto come oggi. Mi attengo ai decreti di Conte. Io da sola - spiega Roberta Mattei - a consegnare l'asporto. Ho troppi dubbi. Barriere sì io no? Distanze sì ma quali? Sa che le dico... riapro tutto il 18. Come dice l'ordinanza del Governo. Così almeno la responsabilità non sarà solo mia».

La doppia responsabilità. Ecco l'altra parola: responsabilità. Che però tra baristi e ristoratori davanti alla notizia che lunedì potranno riaprire tutto e tutti si declina in due versioni: quella che tocca alle persone, e cioè rispetto, mascherine e distanze. E poi quella che tocca a loro. Ai baristi, ai gestori, ai proprietari. E qui l'affare si complica. «Toccherà a noi la responsabilità anche per gli infortuni del nostro personale - si chiede Alessandro Marchesini - nel senso: che fa l'Inail? Ci copre o no?». Arriva un cliente: «Pare che se qualcuno si ammala al di fuori di una legge nazionale qui scatta anche il penale...». Apriti cielo. I gestori passano dalla discussione sulla disposizione dei tavoli alle telefonate all'avvocato. Il quale chiede di aspettare: deve guardare il codice. «Sapete, bisogna mettere nel conto anche i contenziosi. Qui la norma non è chiara...». È chiaro che si potrà aprire. Quanti lo faranno resta incerto. «Ho poche ore per organizzarmi» dicono i gestori.

Al Cooper, i tavolini, dopo l'incursione dei vigili l'altro giorno, sono ancora dentro. Al Monika, in via Goethe, aspettano di capire come gestire le distanze: sempre il solito dubbio tra gente seduta o in piedi. Poi il plexiglas: «Vorrei che mi dicessero con chiarezza se devo metterlo al banco o no. E se anche ai tavoli se non ci sono due metri tra i clienti... Perché così non ci penso più. Spendo questi 80 euro a foglio e chiuso...» dicono in piazza Walther. Ma uno fa due calcoli: «Se le metto dentro, le barriere, e poi anche fuori per avere più clienti spendo una cifra... E allora di clienti a 1.20 per caffè dovrei averne 300 al giorno».

I turisti? In autunno. Ma, in centro, emerge il dubbio dei dubbi: e i turisti? «Se va bene rivedremo i tedeschi a ottobre» butta lì Franco Collesei. Esce un operatore da un albergo lì, nei pressi: «Ma se le frontiere sono chiuse cosa apriamo a fare?». Ecco un'altra variabile: il bolzanino quanto devo distanziarlo con il plexiglas... Ma il turista quanto dovrò aspettarlo?». Il calcolo è che ci starà metà gente. Ma l'altro calcolo riguarda il numero dei dubbi che questa legge in autonomia lascia sul campo. Per cui tra richiamare il personale o andare avanti ancora qualche giorno solo con l'asporto, per tanti il dubbio si concentra su una domanda: apro l'11 o aspetto lumi? Nel mentre, le mascherine trovano sempre nuove posizioni: a fianco, sopra, sotto, a girocollo, nel taschino, a mano libera. L'ultima domanda del barista: «Ma la mia, secondo la legge di stanotte, deve essere Ffp2, 3 o...?».













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