BIOLZANO

Bolzano, l’appello del vescovo: «Aiutiamo i profughi»

Durante la messa in cimitero la preghiera per i morti nel Mediterraneo. Dedicato un momento di raccoglimento anche alle vittime del terremoto


di Alan Conti


BOLZANO. Nel giorno dedicato al ricordo dei morti il vescovo della diocesi di Bolzano e Bressanone Ivo Muser lancia un messaggio di vita. Forte e collegato alla quotidianità.

Profughi, il vescovo scuote la chiesa L’appello di Muser: «I poveri non si fermano, smettiamola di pensare ai muri. Vogliamo condividere o solo difenderci?»

«Pensiamo alle persone che soffrono, ai migranti che muoiono nel Mediterraneo, alla gente che patisce il dramma del terremoto e a chi viene ucciso dalla guerra e dall’odio in Siria». Tre categorie che il monsignore non sceglie a caso. Parlando dall’altare allestito sul sagrato della cappella cimiteriale, infatti, Muser opta per un’omelia che faccia della festa di Ognissanti qualcosa di molto concreto. Trasforma il ricordo dei propri cari in azioni avvicinando, in senso pienamente cristiano, il concetto della morte a quello della vita. Respingendo, infine, una società che sembra nascondersi dal trapasso, tra tabù e paure. «Noi cristiani crediamo che la morte non abbia l’ultima parola sulla nostra vita perché Gesù ci ha dimostrato che ciò che ci attende è la risurrezione».

È nell’omelia, come scritto, che il vescovo ha deciso di affrontare il tema della secolarizzazione della società. «C’è questa tensione a voler far sparire il concetto della morte, ma il nostro Dio è da sempre il Dio della vita. Il nostro comportamento deve essere conseguenza di questa concezione».

Da qui il riferimento al dramma dei migranti. «Vorrei invitare tutti a pregare per i profughi che muoiono nel Mediterraneo scappando per disperazione. Assieme a loro pensiamo anche a tutte le vittime delle guerre e dell’odio che è scoppiato in Siria e in tanti altri Paesi del mondo». Un momento di raccoglimento è dedicato anche a chi sta vivendo un dramma a pochi chilometri da casa. «Voglio esprimere la vicinanza e la solidarietà di tutta la nostra comunità alle popolazione dell’Umbria e delle Marche che devono affrontare le perdite e le ferite di un terremoto così atroce». Spazio, poi, ai temi più prettamente religiosi. «In questi giorni così sentiti invito tutti a riflettere sul mistero della vita, di prendere coscienza della brevità della nostra esistenza e di non cedere alla tentazione di vivere solo per stare bene su questa terra. C’è molto di più da conquistare. Ricordiamoci che siamo creati e voluti per il cielo».

Dopo la celebrazione il vescovo ha guidato la processione per la benedizione delle tombe nel campo santo. Diverse centinaia di bolzanini si sono accodati alla processione dopo aver assistito alla messa e seguito la liturgia tradizionale. Con Muser presenti anche diversi parroci della città assieme ai chierichetti e ai funzionari della diocesi.

Il vescovo si è anche intrattenuto con diversi bolzanini al termine della funzione per una parola di conforto o un pensiero ai cari scomparsi.

Non è la prima volta, comunque, che il monsignore prende una posizione forte sul tema dei migranti. Appena dieci giorni fa il suo appello lanciato dalle pagine del nostro giornale aveva scosso la comunità dei cattolici. Parole dure per richiamare ad una profonda responsabilità sociale. «Chi cerca solo risposte facili ed egoiste al tema delle migrazioni alla fine non fornisce alcuna risposta. Serve umiltà di fronte alla complessità del tema di cui stiamo parlando. Il primo passo è comprendere che non dobbiamo gestire un’emergenza, ma una sfida che ci occuperà per molto tempo».

Qualche mese fa Muser aveva fatto un viaggio in Etiopia che lo aveva molto segnato. «Sì, ho accompagnato alcuni collaboratori della Caritase ho osservato. Ho visto con i miei occhi quello che sta accadendo mentre in Europa sentiamo persone affannarsi per capire come fermare queste persone. In Africa ho semplicemente capito che è impossibile fermarli perché i poveri del mondo non si lasciano fermare».

Questa, però, la teoria dall’alto di un altare. Come si traduce nella vita quotidiana? «Con un forte cambio di prospettiva. Non dobbiamo metterci in un atteggiamento di difesa, ma capire come possiamo vivere questa trasformazione. Visto che non possiamo bloccare questo fenomeno dobbiamo fare in modo di renderlo un’opportunità. Dobbiamo inserire bene queste persone e capirne le capacità per farne tesoro».













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