Buoni pasto, la pizzeria «taglia» il valore del 20% 

Il titolare della Grolla: «Strangolati dalle commissioni. I clienti capiranno» Duro attacco a Provincia, Asl e Poste: «Basta con le gare al massimo ribasso»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Il cartello, frutto dell’esasperazione di un esercente strozzato dai costi che lievitano sempre più, è stato affisso ieri pomeriggio alla pizzeria La Grolla di viale Druso. In soldoni c’è scritto questo: cari clienti, vi decurto il valore dei vostri buoni pasto del 20%. Altrimenti non potrò più permettermi di accettarli. Firmato, il titolare. Perché Leonardo Dicello non ce la fa più. Fa parte del gruppo di affiliati a Confesercenti che da mesi sta studiando la situazione per cercare una scappatoia, ma questa settimana ha pensato al gesto plateale, non sia mai che si smuova qualcosa. A mandarlo su tutte le furie ieri sono stati due fatti. A inizio settimana ha ricevuto da una delle tante società emettitrici di buoni pasto il pagamento delle fatture di inizio gennaio. A metà aprile... E parliamo di migliaia di euro. E poi, il massimo: un’altra società ha inviato una missiva, chiedendo ai gestori di locali di applicare ai clienti un’ulteriore scontistica del 5% qualora volessero essere pagati velocemente. «Le società - spiega Dicello - incassano subito... Già su di noi pesa una scontistica che parte dal 7% ma che in più casi ha raggiunto il 12,5%. Poi ci sono da contare i 37 euro di noleggio mensile della macchinetta Pos, e ogni società vuole la sua, più 50 centesimi a ogni strisciata, più 15 centesimi defalcati dalla fattura per ogni buono pasto. Adesso, per avere i soldi velocemente, ossia in tempi ragionevoli perché io non sono mica una banca, dovrei applicare un’ulteriore scontistica del 5%? Una follia».

È vero, almeno a pranzo locali come La Grolla hanno una buona fetta di clienti che sfruttano i buoni pasto, ma non ce la si fa più con questo aumentare, aumentare, aumentare.

«Io, personalmente, non ce la faccio più. Abbiamo fatto riunioni su riunioni, coi colleghi, ma siamo ancora fermi. Queste società emettitrici non hanno freni. O mettiamo dei paletti noi o ci stritoleranno. Dobbiamo dire basta, qualcuno ci deve tutelare come Dio comanda». Le soluzioni? «Intanto i buoni pasto si dovrebbero usare solo a mezzogiorno». E poi, i costi non possono pesare esclusivamente sugli esercenti. «Per esempio, nella mia pizzeria, a chi ha i buoni pasto delle Poste già da tempo vengono decurtati i 50 centesimi più i 15 centesimi delle spese di cui sopra. In tutto fanno 65 centesimi. I clienti hanno capito e sono d’accordo». Della serie: «Se volete venire a mangiare da me, queste sono le condizioni». Ora, la nuova richiesta di sconto del 5% è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «Non ci rientro più. Troppe spese: affitti, personale, merce, imposte». Quindi, si continuerà a ritirare tutti i buoni pasto di tutte le società, «ma a quelli da 4,28 euro abbasseremo il valore del 20%. Idem a quelli da 3,40 euro, da 4,88 e da 5. A tutti quanti decurteremo il 20%». Forse, si augura Dicello, così Provincia, Asl, Comune, Poste eccetera capiranno. «Basta gare al massimo ribasso. Vogliono far pagare poco ai dipendenti, scaricando il 100% della spesa? Bene, ma non lo facciano sulle nostre spalle. Perché le società emettitrici ribassano per vincere le gare, ma poi si rifanno su di noi aumentando le commissioni. La Provincia si informi, e poi cambi registro. Per sopravvivere dovrei aumentare la pasta al pomodoro da 7 a 10 euro, ma così la gente non verrebbe più. Anche la gente deve capire che con un buono pasto non si riesce a mangiare. Oggi, con 7 euro ci compri solo panino e bibita».













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