Calcio: il bolzanino Orlandoni in finale di Champions League con l'Inter

Il terzo portiere nerazzurro ha 38 anni: tanti quanti ne sono trascorsi dall'ultima finale che abbia visto l'Inter in campo, nel 1972 contro l'Ajax. Dopo una carriera tra C1 e serie B, la serie A con la Reggina e infine il ritorno a Milano



L’elogio del numero 1 dei comprimari parte da una cifra: 38. Eh sì, perchè l’Inter non conquistava una finale di Champions League (la vecchia Coppa Campioni) da 38 anni. Gli stessi che Paolo Orlandoni compirà il prossimo 12 agosto, quando - dopo quattro, magari cinque (Roma permettendo) scudetti consecutivi vinti con la maglia nerazzurra - potrebbe aver arricchito il suo personalissimo palmares anche con il titolo di campione d’Europa che gli permetterebbe di chiudere trionfalmente la sua carriera di calciatore prima di aprirne immediatamente un’altra, sempre con l’Inter, nel ruolo di preparatore dei portieri. Un finale così, adesso, lo si può sognare ad occhi aperti, perché fra gli “eroi di Barcellona” - come li ha definiti Mourinho - c’era anche Paolo Orlandoni. E il portiere bolzanino sarà presente pure al Bernabeu di Madrid, nella finalissima.
Anche se - come è successo al Camp Nou - dovrà con ogni probabilità accontentarsi di un posto in tribuna. Ma lui, alla quinta stagione consecutiva nell’Inter, anzi nella”sua” Inter, nursery calcistica dopo gli inizi nella disciolta Torre e nella Virtus Don Bosco che hanno preceduto a soli 14 anni il suo trasferimento a Milano (anzi, la “sua” Milano, dove vive con moglie e tre figli da più di un decennio), non si è mai sentito “solo” il terzo portiere nerazzurro. Né lo Special One lo ha mai fatto sentire tale. Campionato o Champions, casa o trasferta, Paolo è sempre stato inserito nella lista dei convocati. E non solo per precauzione.
Mourinho lo considera uno dei suoi senatori, uno dei suoi fedelissimi, uno dei suoi uomini di fiducia che gli hanno permesso di costruire un “gruppo” granitico, per coesione e unità di intenti. Ma non è solo “uomo spogliatoio”, Paolo, che in questa Champions League, in assenza dell’infortunato Toldo, è stato in panchina, come”vice” Julio Cesar, sia a Mosca nei quarti contro il Cska che a San Siro nella gara d’andata di semifinale contro il Barcellona di Guardiola.
D’altronde con lo Special One, il rapporto è sempre stato... speciale, come ha sempre raccontato Paolo.
“Come tecnico ha credenziali, palmares e trascorsi che parlano per lui. Ma ad essere straordinario è anche l’uomo: vuole conoscere nel profondo i suoi giocatori e quindi non si limita a valutarli solo come atleti. Ha il piacere del dialogo, è interessato a conoscere la persona oltre che il calciatore e parla di tutto.
L’ottimo rapporto che da sempre riesce ad instaurare coi suoi giocatori nasce proprio dalla maniera in cui si interfaccia con loro. È una persona molto umana, oltre che carismatica. E ogni giocatore, da Cambiasso sino al ragazzo della Primavera aggregato alla prima squadra, si sente gratificato dall’interesse che il mister mostra con sincerità verso ognuno di noi. Ed il mio caso è emblematico: non mi ha mai fatto sentire l’ultimo dei suoi tre portieri”.
Perché all’esterno risulta superbo e antipatico?
“Starei attento a confondere superbia con sicurezza. Sa fare bene il suo mestiere, ha vinto e fatto vincere tanto, e quindi è naturale che abbia le sue convinzioni e che le porti avanti con consapevolezza. E anche quando viene definito un accentratore, non ci trovo niente di male. Si è mai visto un protagonista (in senso letterale) della levatura di Mourinho non richiamare su di sé l’attenzione generale?”.
Paolo, oltre che della stima di Mourinho, gode anche della massima considerazione di tutto l’ambiente nerazzurro, in primis dei suoi compagni di squadra. E si parla di gente come Milito, Eto’o, Thiago Motta e compagnia. Mica di calciatori qualunque.
“Sotto questo aspetto - sottolinea Paolo - credo di averci messo del mio, dimostrando massima serietà negli allenamenti, ma anche la genuinità di un carattere gioviale ed espansivo che ha conquistato i miei compagni”. Ma anche lo staff tecnico e la società, che nei giorni scorsi gli hanno proposto per la prossima stagione (scontata la risposta affermativa) il ruolo di preparatore dei portieri in coppia con Silvinho, altro uomo di fiducia di Mourinho. Come Paolo.
Ma prima di pensare al “dopo”, c’è - prima - una finale di Champions League che attende Paolo. Il numero 1 dei comprimari.
Paolo Orlandoni è un bolzanino coc. È nato infatti nel capoluogo altoatesino il 12 agosto 1972. Calcisticamente è cresciuto - fra i pali - della disciolta Torre e, soprattutto, della Virtus Don Bosco. A 14 anni il trasferimento a Milano, sponda Inter. Il settore giovanile nerazzurro è stato la sua nursery, sino alla formazione Primavera. Poi la gavetta in serie C con Mantova, Leffe, Casarano e Pro Sesto, quindi Ancona e Foggia in B, Acireale in C1, prima di approdare alla Reggina dove nel maggio del 1998 ha conquistato, da portiere titolare, la promozione in serie A, dove ha debuttato, al “Delle Alpi” contro la Juve, nel settembre 1999.
Altre 12 presenze con la maglia numero 1 amaranto, e poi - ancora in A - Bologna (”vice” di Pagliuca”) e Lazio (terzo portiere, alle spalle di Peruzzi e Marchegiani). Quindi il quadriennio a Piacenza con 25 presenze in A e 39 in B. A 33 anni la chiusura del cerchio, col ritorno all’Inter in qualità di terzo portiere. Questa è la sua quinta stagione in nerazzurro.
Nelle precedenti quattro ha conquistato altrettanti scudetto (il primo a tavolino) e collezionato complessivamente quattro presenze, più molte panchine in campionato e Champions.













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