Centro diurno e lavoro «Così si esce dal ghetto» 

Scioglilingua. La scuola per migranti festeggia ai Piani con pietanze e musiche dal mondo e fa proposte concrete per abbattere il muro: «Servizi igienici, casa e contatti con le imprese»


Sara Martinello


Bolzano. Festa grande al maso Premstaller, ieri, per la domenica comunitaria di Scioglilingua, l’associazione di volontariato che permette ai nuovi arrivati di imparare italiano, tedesco e informatica e di costruirsi una prospettiva di vita. Vengono dagli angoli più remoti del pianeta. In tasca un dottorato di ricerca, la fame, il bisogno di ritrovare la dignità tolta loro dalle guerre degli altri. E a Scioglilingua qualcuno li aiuta. Ma l’accoglienza non può gravare soltanto su queste poche decine di volontari, per la maggior parte insegnanti o ex insegnanti: servono iniziative concrete da parte delle istituzioni, delle imprese, del mondo delle associazioni. Così, tra un piatto di riso e il racconto di Mamadou Diallo di un insperato ricongiungimento familiare che ha del miracoloso, la festa dell’associazione diventa anche l’occasione per un confronto su come permettere ai nuovi arrivati di inserirsi nella società, uscendo dai ghetti creati da parole come “degrado” e da politiche erosive della dignità umana.

Un centro diurno.

La prima necessità, come spiega Annamaria Molin, sarebbe un centro diurno di bassa soglia. Da anni Scioglilingua e le altre associazioni attive nell’accoglienza sollecitano l’istituzione di un centro aperto a tutte le persone senza dimora, senza porre requisiti di accesso e indipendentemente dalla regolarità sul territorio nazionale. Pochi giorni fa la convergenza di diocesi di Bolzano e Bressanone e Chiesa luterana rispetto alla lettera aperta delle associazioni su questo tema. «A Bolzano non ci sono servizi igienici – riprende Molin – se non quelli di Casa Migrantes». E poi le attività culturali e sportive, magari con un incentivo da parte del Comune: «Potrebbe richiedere alle associazioni che ricevono contributi pubblici di inserire immigrati e migranti nelle loro attività». Per passare il tempo, per migliorare le competenze linguistiche, per reimparare la socialità.

L’emergenza casa.

È una discesa agli inferi. Qualora un immigrato trovi lavoro, deve uscire dal Cas. Ma trovare una casa è pressoché impossibile. E così, se nessun “italiano” dà una mano nella ricerca, facendo da garante alla persona in cerca di una sistemazione, si torna in strada, sulle panchine, si perde il lavoro, ci si procaccia da vivere come si può. Karin Christomannos, per Scioglilingua aiuta le persone a svolgere le pratiche burocratiche, a redigere il curriculum, a iscriversi a scuola e a trovarsi un appartamento o una stanza. «Serve un accompagnamento, perché i padroni sono ancora prevenuti e perché purtroppo sono ancora le conoscenze “giuste” a creare il terreno per una trattativa», dice. E poi servirebbe l’istituzione di una piattaforma di contatto col mondo delle imprese e dell’agricoltura. Tanti possiedono o acquisiscono competenze specifiche. C’è l’iracheno Eleya Alkudery, giornalista di Reuters, c’è l’ivoriano Zongo Jera, che ogni mattina prende il treno da Barbiano per andare a lavorare in una lavanderia industriale a Ora. Qui l’appunto di Molin: «Sarebbe giusto e utile dare loro un lavoro che tenga minimamente conto dei loro prerequisiti».













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