Cesare Maestri è salito in cielo 

Morto a Tione all’età di 91 anni. Uno dei più grandi dolomitisti degli anni Cinquanta e Sessanta. Poi le due celebri spedizioni al Cerro Torre Era nato in una famiglia di attori. Non fu solo alpinista: partigiano, scrittore, uomo spesso spigoloso nel carattere, ma sempre libero 


Leonardo Pontalti


Bolzano. «Il vuoto mi ha sempre dato la sensazione di libertà», ricordava all’inizio di ottobre di due anni fa, alla vigilia del novantesimo compleanno.

Il vuoto, intrigante, che Cesare Maestri, morto ieri a Tione a 91 anni, ha avuto sotto di sé per gran parte della sua vita passata in parete, è diverso dal vuoto, mesto, che lascia con la sua scomparsa.

Un simbolo dell’alpinismo, un’icona del rapporto tra uomo e montagna con le sue sfide ma che nella sua vita è stato anche molto altro: partigiano, scrittore, uomo spesso spigoloso nel carattere, ma sempre libero.

Anche ora è libero. Soffriva sempre di più, con il passare degli anni Cesare Maestri. Da tempo doveva accompagnarsi a un girello per potersi muovere e «la testa vaga a lungo per luoghi ignoti», aveva raccontato in un’intervista due anni fa.

«Il suo motto di sempre, “mai mollare, tener duro”, stava iniziando a scricchiolare sempre di più. Ora è di nuovo libero davvero, come è sempre stato», ricorda commosso il figlio Gianluigi assieme alla nipote Carlotta.

Spigoloso, nel carattere, anche spavaldo. Allergico alle false modestie: «Paura di morire, in montagna? Mai avuta, perché... Sapevo di essere bravo, scusatemi», aveva spiegato sorridendo il giorno del novantesimo compleanno.

Amava ricordare spesso come l’alpinista più bravo fosse «quello che diventa vecchio» senza nascondere la soddisfazione di esserci riuscito con tutto ciò che questo comportava riguardo alle sue indiscusse doti.

Eppure il suo incontro con la montagna era stato casuale, negli anni Cinquanta. Non era figlio di alpinisti, non era nato in montagna. Era un zitadìn, nato nel 1929 nel capoluogo trentino in una famiglia di attori, papà Toni e mamma Mariarosa, ferrarese. Avrebbe dovuto seguire le loro orme, come la sorella Anna (in teatro con Strehler, al cinema con Totò) e il fratello Giancarlo (sul grande schermo diretto da Luzzani, Steno, Salce e doppiatore tra gli altri di Sean Connery, Paul Newman e Dennis Hopper). Il physique du rôle - mascella prominente e sorriso ammiccante - non gli mancavano, ma capi subito che quella non era la sua strada. A Roma resistette appena un paio d’anni, subito dopo la Seconda guerra mondiale.

Conflitto che l’aveva segnato profondamente: i nazifascisti nel 1943 rispolverarono una condanna a morte per attività antiaustriaca che pendeva sul padre Toni dal 1918 (l’irredentismo paterno, Cesare lo portava nel nome completo: Cesare Fabio Damiano) così i Maestri riprarono a Ferrara. E al suo ritorno a Trento Cesare si unì ai partigiani comunisti nella lotta di liberazione.

È nel 1950, quando vive ai Casoni, che Cesare Maestri scopre l’alpinismo. Con Gino Pisoni, che lo porta in Paganella. Salendo la normale, l’allora ventunenne capisce che la sua vita è là, in compagnia del vuoto sotto di sé.

Inizia una storia che farà Storia: dalla Detassis-Giordani al Croz dell’Altissimo a tante altre imprese nel suo Brenta, dove salendo per la prima volta sul Campanil Basso trova Bruno Detassis, alla sua centesima ascesa. E poi le Dolomiti - Sassolungo, Civetta, Marmolada - le Pale, il Catinaccio con la Roda di Vael. E la Patagonia, ferita mai rimarginatasi al di là di verità, opinioni, scontri. Nel 1959 raccontò di aver conquistato il Cerro Torre risalendo la parete nord con Toni Egger, morto nella discesa, e Cesarino Fava. Nel 1970, dopo che emersero le prime contestazioni sull’impresa, decise di tornare, chiodando lo spigolo sud-est con un compressore, memore forse delle parole del capitano Peyronel mentre prestava il servizio di leva alla Scuola militare d’Alpinismo ad Aosta: «Maestri, se non metti chiodi, ti schiaffo dentro».

Le polemiche sul Cerro Torre continuarono a inseguirlo per anni: «È una montagna per cui ho sofferto tanto, tantissimo».

Dal 1963 si era trasferito a Campiglio, come gli aveva suggerito di fare l’allora presidente delle funivie Gian Vittorio Fossati Bellani e grazie allo spirito imprenditoriale dell’amatissima moglie Fernanda - scomparsa nel 2016 - aveva aperto un negozio di alimentari prima e di prodotti tipici poi. A Campiglio fu anche maestro di sci e presidente delle guide alpine e a Campiglio amava rimirare tutti i giorni il suo Brenta, prima del trasferimento in casa di riposo da dove, le montagne, le ha potute comunque guardare dalla finestra fino al trasferimento in ospedale a Tione qualche giorno fa.

«La montagna mi ha permesso di scampare da tutto: dall’essere un ladro e dall’essere un poveretto, che non mi sono mai sentito».

Ricordava spesso. «La montagna mi ha dato tutto». Ha ricambiato, Cesare Maestri, con gli interessi.













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