il caso

Chioschi a rischio chiusura, botta e risposta col Comune di Bolzano

Entro il 2023 alcuni storici “imbiss” potrebbero abbassare le serrande. Concesso il rinnovo di soli tre anni, non i dodici che si aspettavano. La palla ora al Consiglio di Stato


Aliosha Bona


BOLZANO. «La nostra vita quanto vale per il Comune? C’è chi sprofonderà nei debiti».

A parlare è Ilario Morghen (nella foto), titolare del baracchino in piazza Adriano. Il suo grido d’allarme, che fa eco a quello di altri commercianti, giunge forte e chiaro agli uffici del Comune. Ma quanto stabilisce la legge, per i chioschi a rischio chiusura alla fine del prossimo anno, non sembra sufficiente per farsene una ragione. La diatriba parte nel 2020, quando al momento del rinnovo, i titolari di sette attività si sono trovati una scadenza di 3 anni, al posto che 12.

Parliamo di attività presenti da decenni sul territorio, un punto di ristoro per studenti e non: «Un’azienda commerciale che ha in testa di lavorare per un decennio - insiste Morghen - non si aspetta una notizia del genere. A questo punto sono andato a chiedere chiarimenti all’assessora Ramoser un anno fa, non ricevendo però una vera e propria risposta. “Vi farò sapere” ci ha detto. Da lì in poi non si è più saputo nulla».

Johanna Ramoser che nelle ultime ore è tornata a fare chiarezza: «Il prolungamento di 12 anni è previsto solo per il commercio, non per gli esercizio su suolo pubblico. Le attività rinnovate di soli 3 anni sono quelle che offrono servizio al tavolo, cui regole differiscono dai mercatini in piazza delle Erbe per fare un esempio».

I titolari dei chioschi in piazza Adriano, piazza Università, quello tra il Talvera e piazza Vittoria, il “Time Out” di via Roen, quello di fronte all’Ospedale, quello vicino ai Vigili del Fuoco in viale Druso e il “Montenegro” di fronte al Twenty sperano in evoluzioni positive. Dopo aver fatto ricorso attraverso il proprio legale, aspettano la risposta dal Consiglio dello Stato.

«Il Comune vuole levarci dal suolo pubblico per metterlo all’asta - prosegue Ilario Morghen -. Noi vogliamo solo lavorare. Tutto ha un termine, io non ce l’ho con la burocrazia: sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il giorno. Non possiamo usufruire a vita di una cosa che non è nostra. Ma non è giusto dare solo 3 anni di preavviso, noi abbiamo dei debiti da pagare. È una forma di fascismo nascosta. Ora cominciano a togliere il lavoro a noi. Poi se la prenderanno con chi vende le angurie e i gelati?».

La disponibilità a cambiare qualsiasi elemento utile per guadagnarsi il maxi-rinnovo c’è. A confermarlo è Wilovanovic Slavko del baracchino attaccato al Parco Pompei: «Io ho una famiglia, questa notizia è stata una doccia fredda. Ciò che ci lascia perplessi è questo senso di incertezza. Non posso investire su un’attività che potrebbe chiudere il prossimo dicembre. Noi siamo pronti a reinventarci, ma ci dicano come».













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