Crisi ZH davanti al giudice: rischi per 500 fornitori

Il colosso altoatesino dell’edilizia spera di evitare il fallimento nei prossimi 6 mesi. La richiesta di concordato preventivo però mette in difficoltà i creditori


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Domani la richiesta di concordato preventivo avanzata dalla ZH, la più grossa impresa edile dell’Alto Adige, finirà per la prima volta davanti al tribunale nel corso di un’udienza nella quale dovrebbero essere chiariti alcuni aspetti importanti sotto il profilo strategico gestionale. Come noto la richiesta di concordato preventivo è già stata accolta dai giudici ma l’impresa intende però ottenere una indicazione di quella che potrà essere considerata in futuro l’ordinaria amministrazione (che può essere gestita direttamente dall’azienda anche in fase di concordato) da distinguersi dagli atti di amministrazione straordinaria che dovranno sempre e comunque essere valutati ed eventualmente autorizzati dal giudice.

La situazione è molto delicata. L’impresa, che si trova in gravi difficoltà di liquidità anche per i notevoli crediti nei confronti degli enti pubblici, è attualmente impegnata in lavori in mezza Italia. Complessivamente sono aperti 37 cantieri e la speranza, per tutti, è che si riesca ad evitare il fallimento perché in caso contrario le ripercussioni di carattere economico sarebbero molto pesanti, con un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. In effetti le dimensioni del giro d’affari dell’impresa ZH sono rilevanti. Basti pensare che i fornitori indicati nella richiesta di concordato preventivo sono oltre 500. Si tratta di imprese economicamente sane sotto il profilo prettamente gestionale ma che rischiano di «saltare» proprio per effetto dei mancati pagamenti.

La situazione è particolamente complessa ed allarmante. La richiesta di concordato preventivo mette l’impresa al riparo per un massimo di sei mesi da possibili azioni esecutive e cautelari dei creditori che potrebbero portare al fallimento. Ma i 180 giorni (tempo massimo consentito) dovranno essere effettivamente utilizzati per cercare una via d’uscita il più possibile indolore. Passato questo periodo, in assenza di prospettive reali, potrà essere anche un solo creditore o la Procura della Repubblica a chiedere il fallimento dell’impresa.

Il tribunale non può dichiarare il fallimento d’ufficio. Ovviamente la speranza è di trovare un’intesa nei sei mesi massimi previsti per la presentazione di un piano di concordato con continuità aziendale. Altre vie non sembrano percorribili. In effetti sembra una via impraticabile anche l’ipotesi di un accordo di ristrutturazione che dovrebbe basarsi, per legge, su almeno il consenso del 60 per cento dei crediti con la necessità di procedere al pagamento di tutti i creditori che eventualmente non aderiscano al piano stesso.

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