Da Amatrice a Ortisei la vita riparte sugli sci

All’Hotel Luna ospitata una famiglia scampata al sisma


di Massimiliano Bona


ORTISEI. «Mi chiedono tutti perché sorrido. E io rispondo perché siamo sopravvissuti»: Giuseppe Milano, 47enne di Amatrice, è uno dei sette terremotati che ha perso tutto - dal lavoro alla casa - ma che da sabato sta cercando di staccare la spina in Val Gardena. Una settimana sugli sci, passione che ha sempre avuto, per ritrovare un po' di pace e sentirsi libero. Assieme a lui, all'Hotel Luna di Ortisei, ci sono la moglie Elisabetta, il fratello Alessandro con la moglie Loreta e i figli Gabriele (5 anni) ed Elena (2) e la mamma Nella. Sabato si sono riposati («erano mesi che io mia moglie non ci facevamo una dormita così» ndr) e ieri si sono lasciati tutto alle spalle per gustarsi le Dolomiti e l'ospitalità fuori dal comune della vallata ladina e della famiglia di Didy e Karin Perathoner, le due albergatrici che hanno consentito loro di realizzare questo sogno.

Quando ha deciso di venire in Val Gardena per distrarsi un po'?

«Appena ho letto il post dell’Hotel Luna su Facebook. Temevo fosse una bufala, ma poi ho chiamato. Mi ha risposto la signorina Greys (scritto proprio così ndr) e poi ho mandato una mail. Quando ho scoperto che era tutto vero non stavo nella pelle».

Con chi è venuto?

«Inizialmente avevo pensato a me e mia moglie. Poi la signora Didy ha insistito e mi ha chiesto di portare tutti i miei familiari. Ci teneva che passassimo un periodo spensierato assieme. È così sarà. Ne sono certo. Amiamo la montagna da sempre, conosciamo le Dolomiti e qui ci siamo sentiti subito a casa».

Oggi se uno pensa al terremoto lo associa ad Amatrice. Lei e la sua famiglia cosa avete perso?

«Tutto, ma a differenza di altri non abbiamo avuto lutti. Non abbiamo più la casa e nemmeno le nostre attività. Sono stati spazzati via gli sforzi di una vita, da mio padre in poi».

Cosa facevate prima del 24 agosto?

«Io gestivo un'impresa termoidraulica assieme a mio fratello Roberto (l'unico della famiglia che non è riuscito a venire a Ortisei ndr) e avevamo due operai che ci davano una mano. L'altro mio fratello, Alessandro, aveva una rivendita di materiale termoidraulico. Mio moglie, invece, aveva un ristorante che si chiamava La Conca. Ebbene, ora non c’è più nulla. Nè le case, nè le imprese».

Tutto si è sbriciolato in una scossa?

«No, la prima, il 24 agosto 2016 ha distrutto quasi tutto. Poi, quella del 30 agosto ha fatto il resto. Era rimasta in piedi solo una delle case di famiglia. Ci avevamo detto perché era costruita bene. Poi la settimana dopo è collassata anche quella. Siamo usciti di casa nel giro di dieci minuti, il tempo di accendere le torce».

Poi, da allora, dove avete vissuto?

«Abbiamo trascorso i primi mesi in tenda e nei container. Mio fratello Alessandro, poi, ha deciso di andare a San Benedetto del Tronto, mentre io e mia moglie abbiamo preferito restare in zona. Siamo ospiti di una famiglia, poco distante da Amatrice, e abbiamo camera, cucina e bagno. Dobbiamo sempre fare carte. Sempre. La burocrazia è infinita...».

Non ha paura che possano esserci altre scosse?

«Certo. Le più forti le ricordo tutte. Quelle del 26 e del 30 ottobre. Il 18 gennaio, poi, ce ne sono state cinque in sequenza da 5.5. Ma siamo un popolo tenace. Combattiamo...».

Crede alla ricostruzione?

«Ci dobbiamo credere. E speriamo che lo Stato tenga fede alle promesse. Le immagini del terremoto, che ognuno di noi ha sul cellulare, dicono molto, ma non dicono tutto. Abbiamo voglia di ricominciare, di ricostruirci una vita, di ripartire...».

Quest'esperienza in val Gardena vi darà, forse, un nuovo slancio...

«Vogliamo godercela fino in fondo. Conoscevo già bene le Dolomiti. Canazei in particolare. Ora voglio scoprire anche Ortisei. Il terremoto ci ha portato via anche l'attrezzatura per sciare ma con l'aiuto della signora Didy oggi recupereremo anche quella...».

Giuseppe ci saluta con un ultimo sorriso e si tuffa sulle piste da sci. La Gardena, per una settimana, lo coccolerà e gli farà dimenticare un anno duro. «Vogliamo ripartire da qui...».

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