tumori

«Diagnosi precoci e nuove terapie curano chi 5 anni fa era condannato» 

L’oncologo bolzanino, che lavora a Padova, è stato nominato coordinatore dell’Oncoteam tumori peritoneali: «La sfida oggi è migliorare la qualità dei trattamenti e offrire cure più personalizzate»


antonella mattioli


BOLZANO. «Diagnosi sempre più precoci, cure e terapie d’avanguardia: oggi abbiamo molte più possibilità che in passato di trattare anche le forme tumorali più rare e gravi. Penso, ad esempio, ai pazienti con melanoma metastatico per i quali, solo cinque anni fa, il destino era inesorabilmente segnato: non avevamo “armi” per contrastarne l’avanzata rapida ed aggressiva. Adesso lo scenario è completamente diverso: possiamo scegliere tra più terapie e sempre più mirate da mettere in campo». Antonio Sommariva, 53 anni, bolzanino, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia oncologica avanzata presso l’Istituto oncologico Veneto di Padova, è stato nominato da poco coordinatore dell’Oncoteam tumori peritoneali della Società italiana di chirurgia oncologica.

In cosa consiste il nuovo incarico?

Devo coordinare le ricerche e gli studi in questo specifico settore. Un incarico importante e allo stesso tempo non facile, perché il chirurgo in genere ha un ego molto forte. Ma le sfide contro i tumori si affrontano in team. L’approccio non può che essere multidisciplinare.

Stabilito che oggi, grazie alla ricerca, avete a disposizioni più armi, quali sono gli ulteriori obiettivi?

Migliorare la qualità del trattamento; offrire al paziente una terapia sempre più personalizzata e in quanto tale più efficace. Grazie alla diagnostica molecolare oggi abbiamo in mano una sorta di carta d’identità del tumore e siamo quindi in grado di scegliere la cura più mirata.

Lei è il coordinatore dell’Oncoteam tumori peritoneali: in Italia ci sono centri specializzati per queste patologie specifiche?

In questo campo, in cui ci sono forme rare di tumori, la cosa più importante è inviare subito il paziente nel centro specializzato dove - avendo una casistica importante - vengono garantite le cure e i trattamenti migliori. Si sta lavorando per sviluppare un percorso omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Il suo lavoro prevede sala operatoria e ricerca?

Sì.

Quante ore lavora al giorno?

Tante. Può capitare che un intervento inizi alle 8 di mattina e finisca alla 8 di sera. Per fortuna, ho bravi colleghi più giovani, perché qualche volta il mal di schiena comincia a farsi sentire, dopo tante ore di sala operatoria.

Mai pensato di venire a lavorare a Bolzano, la sua città?

Certamente. A Bolzano ho molti bellissimi ricordi, tanti amici e parenti. Confesso di averci pensato, quando avevo i figli piccoli, visto che Bolzano è una città a dimensione di famiglia, con una qualità della vita elevata.

Poi però ha prevalso l’aspetto professionale.

Direi di sì. A Padova ho trovato la mia dimensione e ho la possibilità di fare ricerca.

Anche da voi c’è il problema della carenza di medici?

Le carenze riguardano in particolare l’anestesia, la medicina d’urgenza e l’anatomia patologica. Mentre la chirurgia continua ad esercitare un certo fascino sui giovani medici.

La chirurgia oncologica però, è una branca particolare della chirurgia generale.

Sì, me ne sono innamorato alla fine degli anni Novanta quando ero andato negli Stati Uniti, a Miami, per la specializzazione nel campo dei trapianti. Lì si parlava già di chirurgia oncologica, ovvero di qualcosa di specifico per affrontare in maniera più mirata un certo tipo di patologie. Queste sono malattie che richiedono, per la loro complessità, un approccio di tipo multidisciplinare. Soltanto così si possono ottenere i risultati migliori. Ma questo impone al chirurgo di avere molta cultura oncologica e di essere in dialogo continuo con i colleghi: dall’anatomopatologo, che mi fornisce la carta d’identità del tumore, a chi decide il tipo di chemioterapia o/e radioterapia, da fare prima o dopo l’intervento chirurgico.

Come si trattengono i giovani medici, per evitare che emigrino all’estero?

Bisogna pagarli di più. All’estero guadagnano almeno il doppio. All’aspetto economico si aggiunge poi la burocrazia che in Italia invece che diminuire, aumenta e ti porta via un sacco di tempo.

Difficile il rapporto con i pazienti quando si devono comunicare certe diagnosi?

Il dialogo con il paziente è un momento chiave del percorso di trattamento. Bisogna imparare a parlare con le persone malate di cancro. Direi comunque di no, non è difficile se si ha in testa il tipo di percorso da seguire e si parla in maniera chiara al paziente.

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